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Dieci maestri del design raccontano i loro esordi. Una mostra di Domus li racconta ai giovani di oggi

Dieci maestri del design raccontano i loro esordi. Una mostra di Domus li racconta ai giovani di oggi

Citterio, cerco di far capire che nessuna generazione ha mai avuto niente in regalo. Quando telefonavo alle aziende non sapevano nemmeno cosa volesse dire la parola designer

29 novembre 2018, 00:12

Redazione ANSA

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Prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980. Alla mostra Domus Youthful Stories - RIPRODUZIONE RISERVATA

Prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980. Alla mostra Domus Youthful Stories - RIPRODUZIONE RISERVATA
Prototipo della poltroncina Italea disegnata da Antonio Citterio per B&B 1980. Alla mostra Domus Youthful Stories - RIPRODUZIONE RISERVATA

Oggi sono tutti maestri del design contemporaneo, ma anche loro sono stati dei giovani emergenti: la rivista Domus presenta nel suo nuovo spazio in Brera, con il supporto di Lexus, la mostra 'Youthful stories, storie di ventenni" che svela, per la prima volta, le esperienze che hanno contribuito a tracciare la storia professionale di Alessandro Mendini, Mario Bellini, Paolo Rizzatto, Alberto Meda, Antonio Citterio, Michele De Lucchi, Jasper Morrison, Humberto e Fernando Campana, Konstantin Grcic, Ronan e Erwan Bouroullec

Ripercorrono la loro storia oggetti, suoni, schizzi e bozzetti, prototipi, testimonianze registrate oggi e filmati d'archivio. Oltre ad essere accomunati da un prodigioso talento creativo e progettuale, i protagonisti della mostra sono tutti stati scoperti, lanciati, o pubblicati da Domus, alcuni proprio negli anni in cui Mendini e Bellini sono stati direttori (rispettivamente dal 1980 al 1985 e dal 1986 al 1991). Per il direttore di oggi, Nicola Di Battista, la mostra "rappresenta un invito all'ottimismo rivolto a tutti, giovani e meno giovani, un invito a guardare avanti, a non perdersi d'animo e a vivere con rinnovata fiducia gli attuali anni di crisi, considerandoli come il prezzo da pagare per passare da un'epoca a un'altra". Partner della mostra, visibile fino a maggio, è Lexus, presente durante la Milan Design Week con il Lexus Design Award, concorso per giovani designer giunto alla terza edizione

Dice Antonio Citterio: ''La mia generazione era, per certi aspetti, sprovveduta: aveva una formazione per lo più autodidatta e questo permetteva di ignorare le cose già fatte da altri. Quando si è giovani, si ha l’arroganza “del fare”, credo che sia la cosa più bella.

Il maestro del design così si racconta per la mostra di Domus: ''Ho iniziato a disegnare mobili nel 1963, a 13 anni. A 18, studiavo la mattina; di pomeriggio, lavoravo in uno studio di architettura, mentre la sera progettavo con alcuni colleghi della scuola. Nel 1970, a 20 anni, insegnavo alle scuole serali dell’Istituto d’arte di Cantù ed è stato nello stesso anno, in giugno, che ho ufficialmente aperto il mio studio con altri due soci. Come se non bastasse, facevo anche il servizio militare. Mia madre, però, voleva a tutti i costi che mi laureassi e m’iscrisse alla facoltà di Architettura. Oggi dopo essere diventato genitore a mia volta, e confrontandomi spesso con i ventenni a cui insegno, cerco di far capire loro che nessuna generazione ha mai avuto niente in regalo: a essere cambiato è soltanto il rapporto tra la domanda e l’offerta. Ricordo che quando telefonavo alle aziende in cerca di lavoro, non sapevano nemmeno che cosa volesse dire la parola ‘designer’. All’epoca, per disegnare un prodotto, ti davano 10.000 lire (5 euro): non erano disposti a spendere di più, ma in compenso, la fatica era tanta. Ho fatto carte false per entrare in B&B Italia; telefonavo, mi presentavo in sede; cercavo di convincerli che ero bravo. Per fortuna, Piero Busnelli mi aveva preso in simpatia. B&B lavorava con personaggi dello spessore di Tobia Scarpa e Mario Bellini, mentre io non ero che un ragazzo. Nel 1974, ho realizzato il primo prodotto per l’azienda. L’avevo presentato a Busnelli, al quale l’idea era piaciuta molto, ma non avendo tempo per farne un prototipo, chiese a me di realizzarlo. Quando tornai da lui, rimase sbalordito: lo mise in produzione e lo presentò al Salone del Mobile. Il nostro studio in provincia di Milano non era un ufficio, ma piuttosto un laboratorio: c’erano un tecnigrafo e alcuni tavoli da lavoro, sui quali realizzavamo i modelli, che erano l’unico modo per comunicare i progetti: nessuno era in grado di leggere un disegno. Mio padre aveva una piccola azienda, dove mi è anche capitato d’incontrare un designer che era arrivato da noi su una spider rossa. Per certi aspetti, nell’immaginario comune, il designer era fatto così. Era stata in una di quelle occasioni che avevo sentito parlare di un Istituto d’arte per l’arredamento a Cantù, che poi avevo deciso di frequentare. Era una scuola straordinaria e richiedeva un grande impegno. Il primo anno, sono stato rimandato in tre materie: copia dal vero, storia dell’arte e disegno geometrico.

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