Libera si prepara a celebrare in
Puglia la Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle
vittime innocenti delle mafie. Dieci anni fa a Bari, il prossimo
21 marzo a Foggia. Una regione, una terra colpita da gravissimi
fatti di sangue. Tornare in Puglia e aver scelto in particolare
quel territorio, non è una decisione casuale. Terra, solchi di
verità e giustizia è il tema della XXIII edizione. Replicando la
"formula" adottata negli ultimi due anni, Foggia sarà il 21
marzo la "piazza" principale, ma simultaneamente, in migliaia di
luoghi d'Italia, dell'Europa e dell'America Latina, la Giornata
della Memoria e dell'Impegno verrà vissuta attraverso la lettura
dei nomi delle vittime e, di seguito, con momenti di riflessione
e approfondimento. Libera va a Foggia perché quella terra ha
bisogno di essere raccontata. Libera va a Foggia perché le mafie
del foggiano sono organizzazioni criminali molto pericolose che
facciamo una tragica fatica a leggere. Perché, malgrado
l'evidenza, la percezione della cittadinanza è ancora bassa. Una
mafia, quella foggiana, così invasiva da spaventare. Le mafie
foggiane sparano mentre le altre mafie non sparano più. Le mafie
foggiane, tutte le mafie foggiane, mantengono la loro evidenza
violenta laddove le altre mafie impongono il silenzio. Foggia è
una città sotto attacco. La Capitanata è una provincia sotto
attacco. Dall'inizio del 2017 sono 17 le persone morte
ammazzate, cui si aggiungono due casi di "lupara bianca", su una
popolazione di 620 mila abitanti. Un dato tanto impressionante
quanto ignoto. La criminalità organizzata del foggiano vive
dell'ignoranza che la circonda. Per esempio, quella di quanti
continuano ad associarla alla Sacra corona unita, come fosse una
cosa sola con quest'ultima. Cosa che non è, e anzi, le stesse
mafie della provincia di Foggia hanno, tra loro, peculiarità che
le differenziano. E così, la manifestazione del prossimo 21
marzo 2018 serve innanzitutto a questo: a generare
consapevolezza e a colmare un ritardo storico, figlio della
sottovalutazione. Serve non a colpevolizzare un contesto, magari
tacciandolo tout court per mafioso, ma a spiegare quel che ci
raccontano le indagini, le inchieste, le morti per strada e
nelle campagne, i fatti. Serve a dire che la mafia foggiana è sì
violenta e triviale, ma ha profondamente le mani nell'affare. E
che i soldi di quell'affare, di quegli affari, vengono tolti a
tutti. E che, quindi, le mafie sono il freno allo sviluppo,
tanto economico quanto civile. La manifestazione del prossimo 21
marzo è un modo per rompere in modo definitivo con questa logica
muta, per riscattarsi dal fallimento culturale che non assolve
nessuno, ma che coinvolge tutti. C'è da ricucire un nuovo
tessuto sociale che abbia una fibra resistente. La Giornata
dell'impegno e della memoria potrebbe essere utile a convogliare
le forze di quanti siano disponibili a questo lavoro di sartoria
comunitaria. Vige la convinzione di non poter cambiare le cose.
C'è una speranza andata in cancrena e diventata tumorale. Non è
tanto sfiducia nelle istituzioni, quanto piuttosto il patimento
di chi sa di vivere in un luogo dove nemmeno il sacrificio della
vita può cambiare lo stato delle cose. Questo malgrado i
miglioramenti. Malgrado si cominci a schiarire il cielo della
conoscenza. Evidentemente non basta. Non può bastare. Ora che le
mafie sono note, serve lo scatto successivo: quello
dell'analisi. Lo studio e la ricerca possono aiutare a fare lo
scatto ultimo in termini di conoscenza, restituendoci nel futuro
prossimo una nuova leva di cittadini che può essere classe
dirigente. Tutto questo, problematiche e possibilità, è quello
che ci troveremo tra le mani il prossimo 21 marzo. Qui andremo
ad agire. Più alta sarà la nostra proposta, più sarà scevra da
intenzioni di pregiudizio, più potremo sviluppare un percorso
importante e duraturo. Il tutto, chiaramente, senza dimenticare
il ricordo delle vittime innocenti. Le vittime del foggiano
raccontano tanti mondi. Ci sono le vittime del caporalato,
Incoronata Sollazzo e Incoronata Ramella, morte nell'incidente
del pulmino che le portava nelle campagne, che era sovraccarico
di braccianti, o Hyso Telharaj. Ci sono funzionari pubblici come
Francesco Marcone. Ci sono bambini e ragazzi. Ci sono
rappresentanti delle forze dell'ordine. Ci sono persone
semplici, come Matteo Di Candia, pensionato ucciso in un giorno
qualunque mentre festeggiava, in un bar, il suo onomastico,
vittima di un proiettile vagante. Tornare in Puglia significa
abbracciare queste vicende, queste storie, queste mancanze.
Tornare in Puglia significa andare e disvelare il nascosto. E
per stare vicino a chi - in Puglia, come in altre Regioni - non
si rassegna alla violenza mafiosa, alla corruzione e agli abusi
di potere. Per valorizzare l'opera di tante realtà, laiche e
cattoliche, istituzionali e associative, impegnate in quella
terra difficile ma generosa per il bene comune, per la dignità e
la libertà delle persone.
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