Siti Internazionali
Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.
Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.
In evidenza
In evidenza
Temi caldi
Responsabilità editoriale di ASviS
Responsabilità editoriale di ASviS
di Donato Speroni
"È una maledizione per sottrarsi alla quale servirebbe coraggio. Da parte di tutti. Ma se ne vede poco. Più semplice continuare a combattere o a far finta di combattere..." (Carlo Bonini, Repubblica)
Raramente un film mi ha emozionato tanto; mi sono chiesto perché. “Gli spiriti dell’isola” è bellissimo, premiato a Venezia e candidato a otto Oscar, ambientato nelle incredibili isole Aran, ad ovest dell’Irlanda. Ma non basta. La vicenda di due amici che per depressione e stupidità iniziano un conflitto fin quasi alla reciproca distruzione mi è sembrata uno specchio dei tempi. Ovviamente c’è sempre qualcuno che comincia, ma poi ci si avvita in un meccanismo senza speranza. Senza “spoilerarvelo”, aggiungo che i soli protagonisti positivi in questa storia sono l’unica donna in scena, che si rende conto della tragedia di quanto sta accadendo e, pur dilaniata dal dolore per i suoi affetti più cari, fugge sulla terraferma. E gli animali, muti e teneri testimoni, talvolta vittime, della violenza umana.
Il regista Martin McDonagh ha concluso le riprese nel 2021, ma sembra proprio che il film descriva il precipitare della guerra di invasione della Russia all’Ucraina, fino alle più recenti minacce di escalation verso un conflitto totale, forse nucleare; fino all’assurdità di una situazione nella quale le due parti stanno esaurendo le munizioni, ma non i corpi umani a cui sono destinate. Personalmente, ho sempre sostenuto il diritto dell’Ucraina a difendersi e il nostro dovere di aiutare in tutti i modi quel popolo aggredito. Ho diffidato di certi generici appelli alla pace, ma a questo punto è necessario trovare una via d’uscita a una sua situazione che ben difficilmente potrà tradursi nella totale sconfitta di una delle due parti e potrebbe avvelenare il mondo ancora per anni. Forse bisognerebbe lasciare alle donne la gestione della crisi. La diversa visione del rapporto tra ruolo pubblico e vita privata, testimoniata dalle recenti dimissioni della neozelandese Jacinta Ardern e della scozzese Nicola Sturgeon, decise a ritornare a essere semplicemente “Jacinta” e “Nicola”, testimonia una visione diversa della politica: un valore aggiunto e non un handicap.
La pace e il dialogo sono il fondamento dell’Agenda 2030 dell’Onu che gli Aderenti all’Alleanza si sono impegnati a realizzare. Il principio di fermare i litigi distruttivi e cercare soluzioni concrete caratterizza tutta la nostra azione. A cominciare dalla geopolitica, sulla quale è più difficile intervenire, ma che condiziona la possibilità di costruire un mondo sostenibile. Comunque finisca il conflitto alle porte dell’Europa, il quadro globale non sarà più quello precedente al 2022. Si stanno formando nuove alleanze e anche l’economia mondiale potrebbe esserne sconvolta, come mostra per esempio il fatto che al prossimo vertice dei cinque Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) si tornerà a parlare di una moneta di riserva dei Paesi emergenti per scrollarsi di dosso l’egemonia del dollaro negli scambi internazionali. Una iniziativa di difficile attuazione (il "Financial times" l’ha definita "a flawed idea", un’idea imperfetta), ma che potrebbe avere importanti conseguenze.
Si salverà il multilateralismo in questo contesto? Difficile dirlo, ma è necessario mobilitare le persone di buona volontà come non si stanca di dire Papa Francesco. Anche il segretario dell’Onu António Guterres ha alzato la posta "from ideas to action", annunciando per il 2024 una Conferenza sul futuro nel 2024. Al massimo livello, preparata da un Summit durante la prossima Assemblea generale in settembre. Mercoledì 15 Guterres ha annunciato
"la pubblicazione di 11 policy brief che proporranno idee concrete su come far avanzare ‘la nostra Agenda comune’ mentre gli Stati membri si preparano per il Summit del futuro del 2024".
Il futuro infatti deve essere al centro della nostra attenzione e sarà anche il tema portante del prossimo Festival dello Sviluppo Sostenibile promosso come ogni anno dall’ASviS, che ritorna alle sue date tradizionali in primavera.
Il principio del dialogo contrapposto ad azioni e dichiarazioni distruttive può applicarsi anche ad altri temi strettamente connessi allo sviluppo sostenibile. Già da tempo sottolineiamo, non solo in questi editoriali, ma in molte comunicazioni dell’ASviS, che le minacce che ci vengono dal clima, dagli squilibri sociali ed economici, dai grandi movimenti incontrollati di popolazioni, diventano sempre più reali e incombenti. Mentre la transizione ecologica giusta (nella quale cioè “nessuno resti indietro”) diventa sempre più necessaria. Ma l’inevitabile confronto sulle ricette crea divisioni sempre più profonde, perché lo sviluppo sostenibile porta vantaggi ma comporta sacrifici; decidere chi li deve sopportare (e anche come ripartire i vantaggi) è una difficile scelta politica. “La transizione non è una cena di gala”, abbiamo detto più volte parafrasando Mao Tse-tung. E la transizione “giusta” che noi perseguiamo è ancora più complicata, anche se migliorerà la qualità della vita collettiva nel percorso e nel risultato finale.
In Italia, si accentuano i contrasti tra i partiti, ma anche all’interno di essi, si divaricano le posizioni tra i nostri aderenti, portatori di legittimi interessi diversi, ma anche all’interno delle organizzazioni della società civile. Ci si confronta sui nuovi termovalorizzatori, sulle prospettive del nucleare, sulla necessità di nuovi gasdotti rispetto alle priorità delle energie rinnovabili. Su dove mettere pale eoliche e pannelli solari. Sulle priorità delle politiche di adattamento ai cambiamenti del clima. Sull’impatto sulle diseguaglianze e sulla gestione delle migrazioni che da questi cambiamenti derivano. Ma ci si confronta male.
In questi giorni, sono balzati alla ribalta diversi temi divisivi della transizione ecologica giusta: il risanamento del patrimonio edilizio obsoleto che provoca eccessive dispersioni di calore, ipotizzato in tempi stringenti nei documenti di Bruxelles; il passaggio dai motori a combustione alle auto a emissioni zero, dove le scadenze sono già definite con una decisione del Parlamento europeo, che confermano scelte già fatte dal 2021, proprio per consentire alle industrie di prepararsi. Per le auto elettriche, il calendario è comunque sfidante, soprattutto per chi come l’Italia è in ritardo: è necessario riconvertire l’industria automobilistica e i suoi fornitori e subfornitori entro il 2035 e gestire le conseguenze economiche e sociali. Urgono piani industriali, investimenti pubblici (le famose “colonnine” informazioni oggettive agli utenti spaventati dal cambiamento e dai suoi presunti costi).
Un altro tema divisivo, che sembra rimanere sotto il tappeto ma che dovrà essere affrontato al più presto, è la riforma del reddito di cittadinanza. Che cosa succederà a chi è considerato abile al lavoro ma non trova occupazione, quando tra pochi mesi cesserà il sussidio? Nella puntata del 6 febbraio di “Presa diretta” Riccardo Iacona ha indagato sulla povertà reale o negata (“I poveri? Non esistono!”). A Napoli ha documentato la realtà di una popolazione che vorrebbe lavorare a condizioni eque ma che tornerà a essere taglieggiata dal lavoro nero. Che il reddito di cittadinanza fosse mal congegnato lo ammettono tutti. Ma come sostituirlo senza creare crisi sociali e aumento dell’occupazione irregolare, non è stato detto in concreto né a destra né a sinistra.
Continua a leggere su asvis.it
(Ha collaborato Maddalena Binda)
Responsabilità editoriale di ASviS
Ultima ora