"Conoscevo Elena da un anno, una ragazza con cui andavo sempre, che ho conosciuto quando sono tornato dalla Germania. Quando avevo i soldi ci andavo. Con Elena lei mi prendeva in giro e io sentivo tutto quello che mi facevano da bambino e io dicevo di smetterla ma lei rideva di me, io sentivo ridere, non so se era lei, dicevo di smetterla ma lei non smetteva di ridere e io non sapevo più cosa fare". E' il racconto dal carcere di Gabriel Falloni al perito nominato dal tribunale di Aosta per valutare la sua capacità di intendere e di volere nel momento in cui uccise Elena Serban.
"Stavo andando via, non so cosa è successo. Se mi prendono in giro - prosegue - mi torna in mente quando ero bambino ma io non volevo farle del male. Anche qui mi succede se mi prendono in giro. Mi sono trovato in un attimo in quella situazione, ho provato a strangolarla" stando alle sue spalle "non so perché, per farla smettere, non per ucciderla e sentivo quelle voci che tutti mi ridevano addosso. Ogni volta che mi rifiutano mi viene questo. Io le ho sentite anche dopo che sono andato via di lì, io sentivo ridere, sempre".
Falloni dice di aver lasciato la presa "perché mi sono visto la mia faccia nella finestra e l'ho lasciata andare. Era tutta rossa, aveva della bava. Poi è andata in cucina. Lei ha detto che chiamava la polizia, ma lei non l'ha chiamata e invece ha preso un coltello e mi ha dato un colpo qua che mi ha fatto anche la foto la polizia".
Elena "diceva di andare via, se no mi ammazzava, ma io non potevo uscire, era nella cucina e andava indietro, lei mi ha fatto male al braccio e ho cercato di levarle il coltello dalla mano. Poi ho visto tutto quel sangue e poi la chiamavo e lei non rispondeva più. Io so solo che ho visto tutto quel sangue. Le mi diceva di uscire ma era tra la porta e l'antibagno e non potevo uscire o penso che non potevo uscire, non ricordo tutto". Secondo la psichiatra Mercedes Zambella, Gabriel Faloni "è affetto da disturbo psichico inquadrabile in disturbo di personalità di tipo antisociale, che non è in grado di interferire sulla sua capacità e pertanto è da considerarsi persona con conservata capacità di intendere e di volere al momento dei fatti". Portano a questa conclusione, tra l'altro, l'aver lasciato la presa al collo "in quanto si vedeva riflesso nella finestra della camera", un gesto che secondo il perito "non trova riscontro con un agito supportato da un discontrollo degli impulsi. Anche la ricostruzione degli agiti successivi (ferite da taglio, occultamento dell'arma, appropriazione di oggetti e denaro all'interno della casa) non trova supporto in un contesto emotivamente discontrollato né di perdita dell'esame di realtà. E così, il comportamento nei giorni successivi al fatto, precedenti all'arresto, non appare confusivo e disordinato come ci si aspetterebbe nell'eventualità di una psicopatologia in atto, ma volto alla protezione di sé ed alla deresponsabilizzazione verso quanto accaduto". Appena sei giorni dopo l'arresto, durante una visita psichiatrica, la sua angoscia principale era nel "sentirsi nuovamente in carcere" e nel "vedere cancellati" gli "sforzi di rigare dritto". Viene inoltre segnalata la presenza di una affettività "fredda e distaccata".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA