"Sono profondamente amareggiato
per come sono stato definito in questi nove anni. Mi è stato
detto che ho scaricato sugli altri, sono stato definito
vigliacco e traditore di un giuramento fatto come funzionario di
polizia e servitore dello Stato. Tutto questo non l'accetto": ad
affermarlo l'ex capo dell'Ufficio Immigrazione della questura di
Roma, Maurizio Improta, in una lunga dichiarazione spontanea
nell'ambito del processo davanti alla Corte d'appello di Perugia
dove è in corso il processo per la vicenda legata all'espulsione
di Alma Shalabayeva e della figlia Alua.
"Mi dispiace - ha sottolineato Improta - sentirmi dire che non
ho avuto dubbi su quello che in quel momento stavo facendo in
qualità di dirigente di un ufficio con trecento uomini e con
cinque funzionari. La mia telefonata con il dottor Albamonte è
stata definita inopportuna ma io ritengo che una telefonata tra
un funzionario di polizia e un pm, avente ad oggetto una
attività d'ufficio, una richiesta di diniego scritto o di nulla
osta alla partenza sempre in forma scritta, non possa essere
considerata inopportuna. Quando lui al telefono mi dice alterato
'se non avete il nulla osta la riporti a Ponte Galeria', questo
non è un hotel dove si entra e si mette chiunque così ma si
entra con un provvedimento firmato dal questore. Quindi in
quella circostanza ritengo di essere stato preciso, forse
insistente ma necessario".
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