"Invocare la condanna della pallavolista Lara Lugli perché in maternità è una violenza contro le donne. La maternità ha un insostituibile valore personale e sociale". Lo scrive su Twitter la presidente del Senato, Elisabetta Casellati sul caso della pallavolista tesserata della Volley Pordenone in B1 e citata per danni dalla sua società per essere rimasta incinta.
LA VICENDA
Non è la prima, e quasi certamente non sarà l'ultima. Ma la storia della gravidanza 'vietata' di Lara Lugli, schiacciatrice carpigiana del Pordenone nella B1 di pallavolo, diventa emblematica di un diritto ancora negato. "Ora basta", dicono in coro da Assist, l'associazione delle atlete, a Italia Viva, Pd e M5s, mentre la sua ex squadra nega e parla di storia ribaltata. "E' molto grave, è ora di prendere in seria considerazione la situazione di noi atlete donne", dice invece Lara. La vicenda Lugli, così simile a quella dell'americana Carli Lloyd e così unica, emerge proprio a ridosso di un altro 8 marzo in cui le donne più che festeggiare rivendicano. In particolare, nello sport, contro la discriminazione di non esser considerate professioniste, alla base del divieto di fatto a diventar madri. La storia è semplice: un passato in A, un ingaggio in B1 a Pordenone nella stagione 2018-2019, poi la gravidanza e l'interruzione del contratto, per quella clausola - non scritta o alle volte in scritture private - per cui un'atleta ha un implicito divieto a diventare madre. Ma quando l'atleta chiede gli arretrati di una mensilità non pagata, si vede rispondere dagli avvocati del club che chiedono i danni per aver provocato un problema con la sua inattesa gravidanza, peraltro drammaticamente sfociata in un aborto spontaneo.
A difesa della pallavolista arriva Assist, l'associazione che si batte per la tutela dei diritti delle sportive, e denuncia che alla base c'è il mancato riconoscimento del professionismo femminile, oltre a una consuetudine che è ininterrotta da anni. La pallavolo è ancora scossa dal caso della Lloyd, la palleggiatrice americana di Casalmaggiore insultata sui social per la sua gravidanza, costretta a rescindere e tornata negli Usa. "Sarà mio dovere presentare un'interrogazione al presidente del Consiglio sull'assurda vicenda della maternità punita di un'atleta, una donna che ha avuto il merito di scoperchiare una realtà consolidata e insopportabilmente arcaica", dichiara la senatrice Pd, Tatjana Rojc (Pd). "Lara Lugli citata per danni dalla sua società per essere rimasta incinta è l'emblema di come la donna nello sport sia ancora vittima di atteggiamenti che hanno radici medievali", dice Daniela Sbrollini, Iv.
"E inutile fare post sull'8 marzo se il giorno dopo dobbiamo commentare episodi come questo", dice Simone Valente, dell'M5S, che punta il dito contro lo status dilettantistico delle atlete. "Serve agire immediatamente". Assist ha chiesto un incontro a Draghi e al presidente del Coni, Malagò, per capire cosa intendano fare. Ed è tornata a sollecitare un intervento per il professionismo delle atlete. Di "verità ribaltata" parla Franco Rossato, presidente del Pordenone. "All'epoca abbiamo salutato con grande gioia la maternità. Secondo quanto era scritto nel contratto, proposto dal suo agente, in caso di interruzione anticipata si sarebbero attivate clausole penalizzanti per l'atleta. Di fronte alla maternità ci siamo limitati a interrompere consensualmente il rapporto mantenendoci in costante contatto con la giocatrice anche nel doloroso momento che ha affrontato poche settimane dopo. Ad un tratto molti mesi dopo - riferisce il presidente - abbiamo ricevuto la comunicazione del suo legale per presunte spettanze. Solo quando ci è arrivata l'ingiunzione di pagamento ci siamo opposti e abbiamo attivato le clausole del contratto. Citare le parole del freddo atto serve a farci sembrare dei mostri, quando invece ci siamo solo difesi di fronte alla richiesta di un rimborso non dovuto". Un racconto chiaro, una situazione evidente.
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