I sondaggi lo danno come il leader preferito dai palestinesi, in grado di gestire il dopo Hamas alla fine della guerra a Gaza. Marwan Barghouti, da anni nelle carceri israeliane, per gli abitanti della Striscia e quelli della West Bank "è la persona che può fermare la guerra: un'operazione che si realizzerebbe con la soluzione dei due popoli in due Stati, Palestina e Israele, e che farebbe tornare la pace", si dice convinto suo figlio Arab, 33 anni, parlando con l'ANSA.
Marwan Barghouti, che di anni ne ha 64, gli ultimi 21 dei quali trascorsi in carcere, ex delfino di Abu Mazen, è stato il capo carismatico della prima e della seconda Intifada. Più volte accusato da Israele di essere un terrorista responsabile di vari attacchi, è stato condannato definitivamente nel 2004 a cinque ergastoli. Successivamente sono state diverse le campagne lanciate per la sua liberazione, a cui anche alcuni esponenti della politica israeliana non si sono dichiarati contrari.
Qualcuno ha anche cercato di fare di Barghouti un Mandela palestinese, ma il suo passato è fatto di lotta armata, portata avanti per la sua terra e non in nome dell'Islam.
Anche se oggi sembra impossibile un suo rilascio da parte di Israele, da un recente sondaggio condotto a fine settembre a Gaza e in Cisgiordania dall'istituto palestinese Arab Barometer, in caso di elezioni Barghouti vincerebbe con il 32% delle preferenze (nella Striscia il 35%), scavalcando di gran lunga il leader di Hamas Ismail Haniyeh (24%) e il presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas (12%).
"La speranza è che mio padre, come gli altri prigionieri, venga scambiato con gli ostaggi a Gaza e possa tornare libero, credo che alla fine sarà così. Lui, che in passato ha creduto nella conciliazione tra due diversi Stati, è l'uomo che può guidare la Palestina verso un processo di pace con Israele, come un nuovo Arafat", sostiene nel suo ufficio a Ramallah Arab, impiegato in un'azienda tedesca di servizi high tech, seguace di al Fatah e impegnato con sua madre Fadwa nella liberazione di Marwan, arrestato quando lui aveva undici anni. "Ora - ammette Arab - ho solo paura che quanto successo il 7 ottobre a sud possa essere la scusa per aumentare le presenze dei coloni in Cisgiordania".
Ma i massacri delle brigate Qassam di Hamas come si possono giustificare? "Chiariamo subito una cosa: noi non accettiamo l'uccisione di civili, ma riteniamo legale resistere attraverso la protesta e facendoci sentire a livello internazionale. Se a Gaza non c'è più speranza per i giovani, l'unica opzione resta Hamas. Per risolvere la situazione c'è bisogno dell'intervento della diplomazia e su questo anche l'Arabia Saudita deve fare di più: Gaza non va isolata, siamo un unico popolo. E Israele, con cui vogliamo vivere in pace, sarebbe più sicuro se avessimo uno Stato indipendente. Mio padre, col quale riesco saltuariamente ad avere dei colloqui, tornerebbe in politica per riunire i partiti sotto l'unico ombrello dell'Olp, come una volta".
Nel frattempo le elezioni, che già prima della guerra erano distanti, ora sono diventate un miraggio. "Abu Mazen ha paura di perdere le elezioni in favore di Hamas, ma anche Israele non ha nessun interesse affinché ci siano". E Arab Barghouti scenderebbe in campo seguendo le orme del padre? "Non penso che lo farò, fin da quando ero piccolo mia madre Fadwa mi ha insegnato che se entri in politica hai tre opzioni: la prima è essere corrotto, la seconda è venire ucciso, la terza è finire in prigione".
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