La speranza di vita di centinaia di palestinesi a Gaza passa anche per una stanza nella Cisgiordania, dove su una scrivania c'è un computer per le emergenze. Ma il telefono squilla sempre meno, e non è una buona notizia: "Abbiamo perso i contatti con la centrale operativa sul territorio, che è stata smantellata", spiega Giovanna Bizzarro, rappresentante italiana per la Croce Rossa in Palestina, impegnata all'interno della sala che da Ramallah coordina gli aiuti medici e umanitari nella Striscia. Nonostante tutto la gente a Gaza, con un automatismo dei tempi passati, continua a digitare il numero di emergenza 101 chiedendo di liberare chi è intrappolato dalle macerie, bloccato in casa o perché si avverte la puzza dei corpi in strada: l'operatrice risponde, ascolta, scuote la testa. Sa che lì un'ambulanza non potrà mai arrivare. Non resta più nulla dell'apparato di comunicazione tra la centrale della Mezzaluna Rossa e i feriti della Striscia, messo su a fatica nel tempo, anni prima del 7 ottobre 2023: ora tra le macerie polverose ci si può affidare solo all'orecchio teso degli operatori, almeno per quelli che ancora hanno i mezzi di soccorso.
"A nord, nei luoghi bombardati e in parte sfollati restano soltanto cinque ambulanze, le abbiamo dislocate nei luoghi per noi strategici, dove direttamente sul posto possiamo sentire le urla di aiuto e intervenire - aggiunge Giovanna - . In tutto il territorio, fino a sud, avevamo 48 ambulanze. Per alcune adesso manca il carburante mentre altre 23 le abbiamo perse definitivamente dopo gli attacchi dei cecchini e i bombardamenti": secondo l'intelligence militare di Israele sono anche un supporto tattico dei miliziani di Hamas, che le usano per spostarsi all'interno della Striscia. Mentre nell'altra sala gli interventi sul tabellone delle emergenze della West bank aumentano con il crescere delle contestazioni nelle città, nella sede della Mezzaluna Rossa sui muri della centrale operativa per Gaza non ci sono solo le foto dei mezzi di soccorso distrutti o i volti degli operatori uccisi, ma anche le mappe dove sono segnati ospedali e strutture per accogliere gli sfollati. Anche in questo caso però le città del nord sono man mano scomparse dai conti sulla cartina, dove i territori cerchiati a penna dagli operatori nella centrale seguono verso sud gli spostamenti della fiumana infinita che cammina lontano dalla guerra. "Due giorni fa abbiamo coordinato l'evacuazione di quattordicimila persone dall'ospedale Al Quds e le persone sono giunte verso un luogo che è stato approntato affinché fossero al riparo. Non sempre fila tutto liscio. L'esasperazione della popolazione sale e una di queste strutture a Deir al Balah, che era stata bombardata, è stata poi saccheggiata dai civili". E resta all'orizzonte la nave Vulcano della Marina militare italiana, arrivata al largo nel Mediterraneo per dare sostegno sanitario ai civili coinvolti nel conflitto. A bordo ci sono ambulatori, strumenti diagnostici e sale operatorie, ma Giovanna avverte: "É tutto vuoto, nessun paziente è ancora potuto salire. Forse perché c'è un problema di non poco conto per l'Italia: per accogliere i palestinesi feriti di Gaza, con quale autorità bisogna coordinarsi?".
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