Nelle settimane di chiusura forzata in casa per via del coronavirus una breccia vistosa si è aperta nella società degli ebrei ortodossi, molto compatta e generalmente refrattaria al mondo esterno. La pandemia, nella sua fase iniziale, si è là manifestata con particolare irruenza anche perchè questo settore della società rifugge dai media laici, gli stessi che rilanciavano gli avvertimenti sanitari delle autorità. Di norma i rabbini dei timorati sconsigliano categoricamente televisione, smartphone e internet in quanto colpevoli a loro parere di distrarre l'attenzione dagli studi religiosi e anche quali possibili attentatori della modestia familiare. Ma adesso si apprende che, nell'intimo dei loro appartamenti sbarrati, molti ortodossi hanno ritenuto opportuno approfondire le proprie conoscenze: sul coronavirus innanzi tutto, ma anche oltre. Secondo dati della compagnia telefonica Bezeq, in quei mesi nelle località abitate da ortodossi (complessivamente sono quasi il 15 per cento della popolazione) il volume di utilizzazione di internet è salito del 40 per cento. Gli allacciamenti alla rete sono saliti dell'8 per cento, mentre il 12 per cento dei partecipanti ortodossi ad un sondaggio ha riferito di aver navigato per la prima volta su internet da marzo in poi. Si tratta di un fenomeno sociale rilevante perchè, secondo alcune stime, nel 2065 gli ortodossi saranno raddoppiati rispetto a oggi. Grazie ad un crescente accesso ad internet sarà possibile tenere per loro corsi di aggiornamento professionale ed innanzi tutto insegnare l'inglese, lingua ignorata nei collegi rabbinici. La emancipazione di questo settore - che nel 2018 lamentava una percentuale di povertà del 42 per cento - è di importanza critica per il futuro della economia del Paese. La apertura ad internet, viene affermato, è allora uno sviluppo incoraggiante: un effetto imprevisto, ma positivo, della crisi del coronavirus.
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