Per gli anziani di Israele le case di riposo si sono trasformate da isole di serenità in luoghi di pericolo. Molte hanno un aspetto esteriore gradevole e nomi di carattere distensivo. Ma ora gli ospiti vivono nell'angoscia. E la stampa rivela con indignazione che un terzo dei decessi avutisi finora per coronavirus (31 su 93) riguardano appunto loro, i fondatori dello Stato e spesso anche sopravvissuti alla Shoah.
Che la malattia incombesse su di loro lo aveva avvertito, già il 17 marzo, il premier Benyamin Netanyahu. "State in casa - aveva detto parlando alla Nazione. - Non andate al mare, né ai parchi, né a visitare il nonno e la nonna. Questo non è il momento. Per proteggere il nonno e la nonna bisogna astenersi dal visitarli". Già quel giorno un primo caso di coronavirus era stato rilevato in una casa di riposo di Gerusalemme. Poi anche a Beer Sheva, nel Sud. Quindi a Yavneel, in Galilea. Poi a Jaffa, presso Tel Aviv. Un ospite contagia l'altro ed il bollettino dei decessi si allunga. Quando in una casa di riposo si hanno oltre dieci vittime i congiunti di alcuni ospiti cercano di forzare l'ingresso e di prelevare i loro cari a forza. Quindi, lo scambio di accuse. I responsabili degli ospizi dicono di non aver ricevuto istruzioni chiare dal ministero della sanità.
Quando infine cominciano a fare test, lamentano che i risultati arrivano con ritardo. Le famiglie però non accettano scuse e preparano adesso una battaglia legale. "Quegli anziani meritavano una fine più dignitosa" scrivono alcuni commentatori. "Certo non dovevano chiudere gli occhi in totale isolamento, lontano dai cari, senza che alcuno tenesse loro la mano".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA