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Riforma del Csm, Cartabia vede la maggioranza

Riforma del Csm, Cartabia vede la maggioranza

Con i capigruppo Commissione Giustizia Senato, ci sarà D'Incà. Anm, bocciato disegno riforma, ora prenderne atto

ROMA, 13 giugno 2022, 12:42

Redazione ANSA

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Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia - RIPRODUZIONE RISERVATA
Il ministro della Giustizia, Marta Cartabia - RIPRODUZIONE RISERVATA

I referendum sulla Giustizia non raggiungono il quorum e si fermano a una partecipazione intorno al 20,8%. Secondo l'analisi di You trend, se non ci fossero state le Comunali, l'affluenza sarebbe stata di 5 punti inferiore, intorno al 15%. Ma anche nelle città delle amministrative c'è stato un boom di schede bianche sui quesiti. La Lega protesta: 'Un complotto contro il quorum'. Anm: 'Bocciato il disegno della riforma, ora prenderne atto'. Martedì riunione dei ministri Cartabia e D'Incà con i capigruppo della maggioranza in commissione al Senato. Sulla riforma del Csm domani ci sarà una riunione dei ministri Marta Cartabia e Federico D'Incà con i capigruppo della maggioranza in Commissione Giustizia del Senato. L'appuntamento si dovrebbe tenere in mattinata.

"Il voto popolare è una sonora bocciatura di un disegno di riforma della magistratura che non è gradito. Si tratta di prenderne atto". Il presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia invita il Parlamento ora a modificare la riforma del Csm alla luce dell'"indicazione popolare molto forte" venuta dai referendum, a partire dalla "bocciatura categorica di una separazione delle funzioni così esasperata da essere sostanzialmente delle carriere". Il voto- dice- "dà la misura che la ministra e il governo si stanno muovendo in direzione contraria a quella che è la sensibilità del corpo elettorale".

Il senatore Francesco Laforgia evidenzia come "il dato drammatico, anche se annunciato, della larga astensione deve interrogare tutta la politica, ma in particolare i proponenti dei quesiti sulla giustizia, sulla distanza lunare che intercorre tra gli interessi dei cittadini e l'abuso dello strumento referendario, che andrebbe preceduto da un vero coinvolgimento democratico delle persone e accompagnato da un sano e approfondito dibattito pubblico. Nessuno di questi due elementi essenziali è stato rispettato per le ragioni che sappiamo".

"A Salvini non interessava nulla né del merito del referendum né tantomeno della partecipazione democratica a questo appuntamento", prosegue Laforgia. "A un anno dalle elezioni, ha cercato di riposizionarsi e risalire un po' nei consensi strizzando l'occhio qui e lì. E gli è andata male, ancora una volta. Sono dispiaciuto per la delusione delle cittadine e dei cittadini che si sono recati alle urne con la voglia di poter dire la propria e che ora invece si sentono inascoltati. La giustizia rimane un tema che va affrontato, a partire dal Parlamento".

Per il presidente del senatori di Italia viva, Davide Faraone, il referendum è un istituto da riformare. "Tra le riforme istituzionali che tentammo di introdurre con i referendum istituzionali proposti dal governo Renzi c'era quella dei referendum popolari abrogativi. L'idea era che se fossero stati richiesti da almeno 800 mila elettori, invece che 500 mila, sarebbero stati validi anche nel caso si fosse espressa la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche; se richiesti da almeno 500 mila elettori ma meno di 800 mila, o da cinque Consigli regionali, sarebbe rimasto invariato il quorum della maggioranza degli aventi diritto", ricorda Faraone su Facebook.

"Sarebbero stati inoltre introdotti due nuovi tipi di referendum popolari: propositivi e d'indirizzo. Chissà se dopo le tre maggioranze e i tre diversi governi in una sola legislatura, il monocameralismo alternato che di fatto ha soppiantato il bicameralismo, l'uso ormai ordinario della decretazione d'urgenza, la pandemia e il caos della sanità affidata alle regioni, la crisi dell'istituto referendario evidenziata clamorosamente col voto di ieri, sono sufficienti per comprendere adesso la necessità e la bontà delle riforme istituzionali che proponemmo, bocciate col referendum del 2016", conclude Faraone.

Nicola Zingaretti, governatore della Lazio, si dice "colpito molto che chi il referendum lo ha promosso, poi non ha fatto campagna elettorale per difenderlo e sostenerlo. Poi possono esserci state distrazioni o silenzi, ma la novità in questo caso è la quasi inesistente campagna elettorale di mobilitazione, quindi i cittadini hanno avuto un messaggio contraddittorio. Ciò sia lezione per il futuro, non bisogna abusare del referendum".

"Il processo referendario, come storia ci insegna, è difficile e molto tortuoso: la scelta dei quesiti, la formazione del comitato promotore, il deposito in Cassazione, la raccolta delle firme, il giudizio della Corte Costituzionale, gli spazi televisivi e infine, solo infine, il quorum da superare", così in una nota Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni, segretario, tesoriera e presidente di Radicali Italiani. "Ebbene, come denunciamo da decenni, in Italia è quasi impossibile promuovere e vincere referendum: dall'impossibilità di raccogliere 500.000 firme autenticate e certificate, al giudizio politico della Corte Costituzionale (vedi bocciatura dei referendum eutanasia e Cannabis) passando per il boicottaggio del cosiddetto servizio pubblico della Rai e finendo con l'esistenza di un quorum che spazza via quasi ogni consultazione popolare. In tutto questo processo referendario la cosa che siamo riusciti a cambiare è la firma digitale per sottoscrivere i quesiti.

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