"Abbracciami, con tanto affetto. E non mi lasciar andare". Il murales giallo blu di una ballata rock degli Okean Elzy, band ucraina di Lviv, colora l'ingresso dell'ospedale militare di Zaporizhzhia, città dell'Ucraina sud-orientale. Dentro un uomo strimpella la chitarra con un look da rocker consumato. Pazienti, medici e infermieri si godono lo spettacolo prima di ripiombare in una quotidianità fatta di ferite, traumi, barelle e dolore.
"Le ferite psicologiche sono quelle più difficili da curare, anche più di quelle fisiche - spiega Fedor, psicologo dell'ospedale militare -. Un ragazzo che aveva perso un braccio in battaglia, ad esempio, sta meglio e vuole tornare al fronte. Diverso è il caso di chi vive sotto i bombardamenti".
Chi è in prima linea sul campo di battaglia arriva qui in stato di agitazione, alcuni soffrono di psicosi. "A volte - spiega ancora lo psicologo - è necessaria l'assunzione di farmaci. È soprattutto la morte degli amici che segna i soldati nel profondo. E poi, stare di continuo sotto i colpi d'artiglieria". Ma non sono solo i soldati a pagare il prezzo dell'orrore della guerra. All'ospedale militare sono tanti i civili colpiti da un conflitto senza regole, che vengono ricoverati. "Un bambino di undici anni - spiega l'addetto stampa, Nikita - è arrivato qui in gravi condizioni, gli avevano sparato al volto mentre fuggiva da Mariupol: come fai ad avere pietà di fronte a questa barbarie?".
Nella stanza numero quattro i pazienti non hanno voglia di parlare. Sono tutti militari, negli occhi il vuoto e la stanchezza. E poi le storie di ordinaria brutalità che si portano dentro. "Tempo fa - racconta Nikita - un soldato è arrivato qui senza piedi, glieli avevano amputati. Era stato catturato dagli invasori. È riuscito a salvarsi perché c'è stato uno scambio di prigionieri. Finché non è stato rilasciato, ha viaggiato con il capo coperto perché non vedesse il percorso".
Anton inizia a sentire la fatica dei mesi trascorsi in uno stato di emergenza che non conosce tregua. "Siamo stanchi, lavoriamo tutto il giorno, tutti i giorni da quando è iniziata questa maledetta guerra", è lo sfogo del portantino dell'ospedale militare. "I feriti arrivano di continuo, diamo loro una prima assistenza e chi necessita di un ricovero prolungato, viene trasferito in altri ospedali".
In un altro lato dell'ospedale, la dottoressa Jana Ishyuk siede tranquilla su una poltrona dell'ospedale, il camice bianco stringe forte in vita. È incinta, ma non teme né per sé né per il suo bambino. E questo nonostante sia la prima volta che Jana si ritrova a dover operare in un contesto di guerra. "È stato scioccante all'inizio - racconta -. Non dimenticherò mai il primo paziente ferito che ho curato, ma dobbiamo mettere da parte le emozioni e fare il nostro lavoro". Jana avrebbe l'opportunità di andare via, ma non vuole. "Mia madre è in Italia, ma preferisco restare qui, tra i miei pazienti. Lo devo a noi, lo devo al mio Paese".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA