(di Francesco Gallo)
Nanni Moretti, uscito di scena solo
un po' con Tre piani, film del 2021 per la prima volta nato da
una sceneggiatura non sua, con Il Sol dell'Avvenire torna a
schermo pieno con una valanga dei suoi tic, considerazioni,
moralismi, chiusure, rivisitazioni della storia, fellinismi e
con un finale poi tra Dolce vita e Quarto Stato. Ovvero con il
regista in marcia, come nei suoi storici girotondi, insieme a
cast e amici (si vedono tra gli altri Corrado Augias, Lina
Sastri, Anna Bonaiuto, Renato Carpentieri, Fabio Traversa e Alba
Rohrwacher) verso quel 'sol dell'avvenire' il più lontano
possibile dal presente: l'oggi è il vero nemico di questa
sua opera.
Moretti è Giovanni, un cineasta che sta girando un film su un
giornalista dell'Unità, Ennio (Silvio Orlando), uomo iscritto al
Partito Comunista Italiano (PCI) del tutto integralista e
impreparato all'invasione dell'Unione Sovietica dell'Ungheria.
Siamo infatti nel 1956 e le rigidità del giornalista fedele solo
al suo partito anche quando 'sbaglia', ("È Togliatti che deve
dare la linea" dice ogni volta che ha un dubbio), non sono molto
diverse da quelle del regista Giovanni altrettanto integralista
come può essere solo un autarchico.
Sposato con Paola (Margherita Buy), che è anche la sua
produttrice, insieme allo svalvolato Pierre (Mathieu Amalric), e
con tanto di figlia, Emma (Valentina Romani), impegnata con un
uomo troppo grande, sta per essere lasciato dalla moglie che lo
trova impossibile, "pesante".
E mentre sul set del suo film arriva il circo da Budapest, il
Budavari, con acrobati ed elefanti, e il suo protagonista Silvio
Orlando si sta lentamente legando all'attrice (Barbora Bobulova)
che interpreta la sartina Vera, Giovanni, che sta pensando di
girare un film pieno di canzoni italiane, è iconoclasta con
tutti: attori, moglie, figlia, tecnici e anche contro se stesso.
Si scaglia contro un giovane regista che sta per filmare
un'esecuzione a sangue freddo («La scena che stai girando fa
male al cinema!»), si scaglia poi contro l'attrice che indossa i
sabot ("Non sono scarpe serie, al massimo pantofole. Dietro i
sabot c'è una tragica visione del mondo. Se si coprono le dita
non si può lasciare scoperto il calcagno").
Se la prende, manco a dirlo, con Netflix che rifiuta il suo
film parlando di slow burner, arco narrativo e what-the fuck e
rivendicando a più non posso che la piattaforma è forte di 190
paesi.
Insomma un Nanni Moretti in piena forma, amaro verso quel
passato che non c'è più, ancora più convinto che le sue manie
siano il vero in cui si rifugia e a cui, come capita al
personaggio di Giovanni, nessuno si può rivolgere senza il
timore di essere smentito, un po' come capita anche nelle
interviste difficili all'autore di Ecce Bombo!
E Cannes, dove il film è in concorso? Calcolando la grande
passione che hanno i francesi per il morettismo doc, Il Sol
dell'Avvenire, che arriva in sala il 20 aprile con 01 in
un'uscita monstre di 500 copie, ha più di una chance di entrare
di diritto e, per le molte corde toccate, nel Palmares. Fosse
anche solo per quella tirata su Netflix che avrà riempito di
gioia Thierry Fremaux da sempre acerrimo nemico della
piattaforma statunitense.
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