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Sembra mio figlio, genocidio e migrazione

Sembra mio figlio, genocidio e migrazione

La Quatriglio racconta l'ignorato sterminio degli Hazara

ROMA, 23 settembre 2018, 15:04

Francesco Gallo

ANSACheck

Sembra mio figlio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Sembra mio figlio - RIPRODUZIONE RISERVATA
Sembra mio figlio - RIPRODUZIONE RISERVATA

Maternità, genocidio e migrazione in un racconto epico dalla struttura classica. Questo e altro in 'Sembra mio figlio' di Costanza Quatriglio, dal 20 settembre in sala con Ascent Film dopo essere passato al Festival di Locarno.
    Di scena il racconto della ricerca della madre da parte di un emigrato afghano di razza hazara a Trieste. Sfuggito alle persecuzioni in Afghanistan quando era bambino, a nove anni Ismail (Basir Ahang) fugge dal suo paese per approdare in Italia con il fratello Hassan (Dawood Yousefi).
    La madre, che non ha mai smesso di attendere notizie dai figli, al telefono non riconosce Ismail che ormai ha ventotto anni. Dopo diverse strane telefonate, Ismail che nel frattempo si è totalmente integrato in Italia, andrà incontro in un lungo viaggio a quella madre assente tornando alla sua terra dove da sempre la sua razza, gli Hazara, è oggetto di un feroce quanto poco conosciuto genocidio.
    Il film nasce da una storia vera, quella di Mohammad Jan Azad che arrivato in Italia dopo aver attraversato il Pakistan, l'Iran, la Turchia e la Grecia, ha vissuto in un centro per minori stranieri non accompagnati. Da bambino era partito a piedi dall'Afghanistan come tanti suoi coetanei sfuggiti alla furia dei talebani negli anni precedenti l'11 settembre. E proprio come accade nel film della regista palermitana, dal momento del distacco dalla madre non aveva avuto più sue notizie. "Volevo raccontare lo sradicamento dalla propria madre e dalla propria terra - dice oggi a Roma Costanza Quatriglio -.
    La chiave era il grande racconto classico, il racconto epico con l'umanità che nasce e dove la domanda più importante resta quella del 'chi sei?'".
    Comunque ci tiene a dire la regista di questo film girato tra Italia e Iran, "Con questo lavoro volevo solo porre domande e non certo dare risposte". "Spero solo che questo film cambi la situazione per il mio popolo Hazaro che viene sempre ignorato da parte dei media - dice Basir Ahang -. Per me era un sogno raccontare questa storia, parlare di questo genocidio che continua ancora oggi in Afghanistan nonostante la presenza della comunità internazionale". Gli Hazra costituiscono un gruppo etnico che vive prevalentemente nell'Afghanistan centrale. Nei secoli scorsi erano la maggiore etnia dell'Afghanistan, ma a causa delle continue persecuzioni oggi rappresentano circa il 9% della popolazione. Secondo la tradizione, gli hazara sarebbero i discendenti dell'armata di Gengis Khan, per altri discenderebbero dai Kushana, gli antichi abitanti dell'Afghanistan che costruirono i famosi Buddha di Bamiyan distrutti, non a caso, dai talebani.
   

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