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Dostoevskij 200 anni dopo e l'assoluto che è in noi

Dostoevskij 200 anni dopo e l'assoluto che è in noi

Freud: viene subito dopo Shakespeare, vertice letteratura mondo

ROMA, 07 novembre 2021, 14:25

di Paolo Petroni

ANSACheck

Fotografie ritratto di Dostoevskij nella sua casa museo di San Pietroburgo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Fotografie ritratto di Dostoevskij nella sua casa museo di San Pietroburgo - RIPRODUZIONE RISERVATA
Fotografie ritratto di Dostoevskij nella sua casa museo di San Pietroburgo - RIPRODUZIONE RISERVATA

 ''Il suo posto viene subito dopo quello di Shakespeare", scriveva Sigmund Freud a proposito di Fedor Dostoevskij, di cui giovedì 11 novembre ricorrono i 200 anni dalla nascita, nel 1821. "I 'Fratelli Karamazov' sono il romanzo più grandioso che sia mai stato scritto, l'episodio del Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura universale, di bellezza inestimabile''. E quando muore a nemmeno 60 anni, chiude la grande stagione russa del secondo Ottocento in cui hanno scritto i propri capolavori anche Tolstoj, Turgenev e Goncarov. Insomma una figura che continua a affascinare e a costringere a farci i conti, anche perché con ''Memorie del sottosuolo'' nasce la letteratura moderna e sempre più Dostoevskij abbandona la narrazione fluente del grande romanzo ottocentesco per concentrarsi su nodi di rilievo esistenziale, costruendo attraverso episodi, spesso per alcuni versi autonomi, un quadro di intenso significato, in cui la vera sostanza dei fatti viene data dal valore passionale delle idee, superando il romanticismo della forza dei sentimenti.

E poi c'è anche la sua vita. Prima il successo a 25 anni, ingegnere con la passione per la scrittura che con ''Povera gente'', in cui tra grottesco e pietà è già tutta la sua sofferta partecipazione con chi vive tra umiliazioni e miseria, diventa il caso letterario del 1846. Pochi anni prima era morto, ucciso, il padre e lo scrittore aveva avuto allora la prima crisi di quell'epilessia che lo segnerà sempre, tanto più dopo che nel 1949 viene arrestato per aver frequentato un gruppo che si ispira a un socialismo utopistico e condannato a morte, con l'esecuzione sospesa solo quando era già sul patibolo, e commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia (da cui nascono le terribili ma non disperate ''Memorie di una casa morta'' ) e poi altri quattro anni di esilio da Pietroburgo. Dopo quelle esperienze, la sua scrittura e il suo raccontare i personaggi andrà trasformandosi e procederà non più per esterna descrizione, ma per una sorta di bruciante partecipazione e indagine sulla doppiezza dell'essere umano e la sua sete di vivere, la sua bipolaraità, tra l'abiezione e il riscatto, ''tanto più avevo coscienza del bene... tanto più affondavo nel mio fango''. Pubblica quindi ''Umiliati e offesi'' e poi nel 1864 ''Memorie del sottosuolo'', lo steso anno in cui gli muoiono il figlio, la moglie sposata durante l'esilio, e poco dopo l'amato fratello Michail, che lo lascia coperto di debiti. Dopo, ''tutti i personaggi dei suoi principali romanzi avranno un sottosuolo, e vi penetreranno per poi risorgere rigenerati o per affondarvi senza speranza, senza soluzione'', come scrive Franco Malcovati, curatore di molte opere di Dostoevskij in italiano. Per cercare di far fronte a quel che deve pagare, lo scrittore si dà al gioco, precipitando sempre più in una situazione disperata. Scrive ''Delitto e castigo'', il grande romanzo sul pentimento e l'espiazione col protagonista che fa i conti con la propria amoralità di essere che si credeva superiore, e poi, con radici autobiografiche, ''Il giocatore'' travolto dalla passione per la roulette. Lo detta a Anna Grigorevna, che diverrà sua moglie, con la quale attraversa l'Europa e arriva a Firenze, dove comincia a scrivere ''L'idiota'', sconfitta esistenziale di un uomo totalmente buono, quasi contraltare dei suoi tanti personaggi scissi e rosi dai dubbi. La sua del resto è una sorta di letteratura noir dell'anima, che racconta di omicidi, stupri, malattie, eccessi di personaggi nobili e/o miserabili, eroi solitari e irrisolti, drammaticamente alle prese con se stesi, con le diverse e contrastanti facce del proprio essere, in cui è tutto il male e il bene di ogni uomo. Nel 1973 pubblica ''I demoni'', dove sembra riflettere in modo nuovo sui temi dei romanzi precedenti, dal nichilismo all'atto gratuito e l'assenza di Dio.

Scrive poi molte altre cose, tra cui racconti lunghi di rara qualità e poesia come ''La mite'' (una cui riduzione teatrale di Nicola Zavagli con Beatrice Visibelli va in scena proprio l'11 novembre al Teatro dei Fabbri di Trieste) o la storia di un giovane in ''L'adolescente'' e, infine, la grandiosa narrazione de ''I fratelli Karamazov'' con la contrapposizione tra il male, l'odio tra padre e figlio, e la purezza del bene, che esce a dicembre 1980, poco prima che Dostoevskij abbia un grave crisi respiratoria e muoia il 9 febbraio 1981, 140 anni fa.

Notazioni, queste, forzatamente superficiali che vorrebbero spingere a rileggere questo complesso e grandissimo autore, come ha fatto per esempio, in vista di questo bicentenario, Paolo Nori, recente autore di ''Repertorio dei matti della letteratura russa. Autori, personaggi, storie'' (Salani) e che ha ora pubblicato ''Sanguina ancora - L'incredibile vita di Fedor Dostoevskij'' (Mondadori) e ha firmato la prefazione alla riedizione di ''Un certo Dostoevskij - biografia polifonica in lettere, diari e testimonianze'' a cura di Pavel Fokin (Utet), notando che ''se un lettore cerca il vero Dostoevskij, non lo troverà in questo libro, troverà invece, in questo testo polivoco, appassionato e appassionante, diversi Dostoevskij, molti Dostoevskij, in contraddizione l'uno con l'altro, dai quali poi, alla fine, ogni lettore potrà ricavare il proprio'', il che vale per chiunque si appresti a leggere oggi almeno alcuni dei suoi romanzi e racconti, molti dei quali in nuove edizioni per l'occasione, così come nuovi saggi esegetici, tra cui da notare ''Dostoevskij, lo scrittore della mia vita'' di Julia Kristeva (Donzelli).

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