(di Fabrizio Finzi)
IL NEMICO DI MUSSOLINI - GIACOMO
MATTEOTTI, STORIA DI UN EROE DIMENTICATO DI MARZIO BREDA E
STEFANO CARETTI (EDITORE SOLFERINO, PP 288 EURO 18,00)
Una storia ricca di dati e documenti per spazzare via non solo
"amnesie", come scriveva Norberto Bobbio, ma anche per
contrastare tentativi sempre più frequenti di revisionismo
storico di una figura che determinò la nascita dell'antifascismo
come lo intendiamo oggi e come lo interpreta la Costituzione.
"Il nemico di Mussolini, storia di un eroe dimenticato"
ripercorre la storia personale di Giacomo Matteotti e i tragici
accadimenti che portarono alla morte del parlamentare socialista
rapito sulle sponde del Tevere nel giugno 1924.
Scritto dal giornalista del Corriere della sera Marzio Breda
e dallo storico Stefano Caretti il volume riporta al centro
della scena le responsabilità di Benito Mussolini nel rapimento
e nell'omicidio di Matteotti. Un delitto assolutamente politico
che aprì le porte alle "fascistissime" leggi degli anni seguenti
che cementarono il regime.
I timori di Bobbio erano fondati: cent'anni dopo il delitto,
il nome di Matteotti sembra sopravvivere quasi soltanto grazie
alla toponomastica, cioè alle 3.200 vie e piazze a lui dedicate
dopo la Liberazione. Rimane il mito del suo sacrificio ma si è
persa nelle generazioni la sua figura di intellettuale e
politico. Il libro ricorda il suo ruolo di difensore della
democrazia e propugnatore di un socialismo riformista e "dal
volto umano". Un oblio, ricordano gli autori, favorito anche
dalla sinistra, dalle divisioni interne alla famiglia socialista
e dalla lunga egemonia culturale del Pci, che lo avversava.
Anche gli storici trovarono difficoltà a farsi pubblicare saggi
sulla vicenda Matteotti mentre all'estero, paradossalmente, era
più studiato che in patria.
Matteotti fu un politico diverso, serio, colto e
cosmopolita, conosciuto e stimato in Gran Bretagna, in Belgio,
Olanda, Francia, Germania, Austria. Non a caso il suo omicidio
ebbe risonanza mondiale e ne scrissero fra gli altri George
Orwell, Stefan Zweig e Marguerite Yourcenar.
Eletto in Parlamento a soli 33 anni, si dedicò alla politica
nazionale, scontrandosi con il fascismo nascente. Fondò con
Turati il Partito socialista unitario - divenendone segretario
-, convinto com'era che all'Italia servisse un socialismo
riformista d'impronta socialdemocratica. In pochì anni
intervenne ben 108 volte in Parlamento sui temi più diversi ma
la sua denuncia più famosa resta quella del 30 maggio 1924,
nella quale elencava brogli, abusi e violenze alle urne,
chiedendo l'invalidazione del voto che aveva dato il potere ai
fascisti. Discorso dopo il quale il dittatore si attivò
affidando a un gruppo di squadristi il compito di eliminarlo.
Come puntualmente avvenne solo 10 giorni più tardi.
Ora, in questi ultimi decenni le celebrazioni e gli studi su
Matteotti si sono quasi sempre concentrate sul suo martirio e
molto marginalmente sui processi. E questo è forse anche la
causa dell'amnesia collettiva sulle responsabilità del fascismo,
o meglio del duce. Resta il fatto che il delitto Matteotti è un
caso chiuso continuamente riaperto. E questa labilità
interpretativa sarebbe stata favorita dal fatto che mancava la
"pistola fumante", la prova regina.
Tra ambiguità storiografiche, nostalgie revisioniste per
minimizzare il ruolo di Mussolini, la sua figura si è persa,
sbiadita ad arte. Ciò è avvenuto dando credito in particolare
alla tesi (una falsa pista veicolata dal regime già negli anni
Venti) di una "tangentopoli in camicia nera" per un affare
petrolifero in realtà mai concluso, che avrebbe coinvolto
finanzieri, alti gerarchi e forse addirittura la casa reale.
Matteotti avrebbe scoperto questo scandalo e sarebbe stato
pronto a denunciarlo: per questo sarebbe stato ucciso. Una tesi
che gli autori smontano nel libro attraverso un'interpretazione
rigorosa dei fatti, oltre che con documenti inediti, nel
tentativo di dare piena luce ai 39 anni "senza respiro" di
Matteotti.
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