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Libri: guerre e colonie, 100 anni cronisti in Africa Orientale

Libri: guerre e colonie, 100 anni cronisti in Africa Orientale

Giornalisti inviati al fronte tra cronaca e autobiografia paese

ROMA, 26 ottobre 2022, 11:42

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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di Luca Prosperi Se Antonio Gibelli scriveva che 'il materiale mentale, compreso quello onirico e allucinatorio, è a pieno titolo materiale storico', a maggior ragione il lavoro dei cronisti di guerra, e in guerra, è pienamente materia da ascrivere alla storia di un paese. Perché, e lo si capisce benissimo nel libro del giornalista de Il Messaggero Fabio Fattore 'Dai nostri inviati al fronte', cento anni di cronache dall'Africa orientale, tra Adua e le ultime guerre' (Sugarco, pp. 197, 18,50 euro), quando la cronaca diventa memoria, esprime la mentalità e la cultura degli italiani di quel tempo, dei contemporanei di allora.
    Fattore è giunto al terzo capitolo del suo notevole lavoro di storico del giornalismo di guerra, dopo l'epopea di Giarabub e dei giornalisti italiani inviati nella seconda guerra mondiale, e affronta il tema del colonialismo, dell'imperialismo e delle missioni di pace da un'altra angolatura. Quella della creazione quotidiana della mentalità pubblica. Da Adua a Check Point Pasta a Mogadiscio, da Malaparte a Montanelli, fino ad Ilaria Alpi, percorrendo una geografia toponomastica che non è solo un lungo elenco di viali e piazze italiane: Adrigrat, Gondar, Addis Abeba, Etiopia, Somalia, ascari o Eritrea.
    Avventura, esotismo, sabbia e sole, mal d'Africa, speranze e disillusioni di un popolo che dall'Unità in poi ha investito in un sogno datato e perdente, quello di una visibilità coloniale, una autobiografia di un popolo che, Fattore lo disegna benissimo attraverso la lettura impotente, accurata e nuova di fondi, archivi, documenti, passa più attraverso l'oscuro e rimosso lavoro dei cronisti di massa, i 'minori' di oggi che invece erano maggiorenti di allora. E' il grande guaio del giornalismo inteso come lavoro: vivere l'attimo, estinguersi nella quotidianità, il rimorchio del potere. E infatti più che sulle pagine dei grandi consegnati alla storia del costume e della letteratura, anche Buzzati andò in Etiopia nel 1936, è con Ximenes, Civinini, Poggiali o Beonio Brocchieri, che si legge bene la radiografia di un sentimento popolare: non a caso la copertina è una foto iconica in bianco e nero, quella che tutti i cronisti vorrebbero avere. Un uomo in camicia bianca, sigaretta tra le labbra, seduto su un tronco di fortuna davanti ad una tenda nella boscaglia che scrive su una piccola macchina da scrivere portatile, foglio bianco nel rullo. Non è Montanelli, ma Ferdinando Chiarelli, da Fossa (L'Aquila), inviato del Giornale d'Italia in Etiopia al seguito di Starace contro il Negus. Storia da libro cuore, inviato di guerra in Spagna e in Russia, nel dopoguerra passa al Corriere della Sera.
    Giornalisti insomma, pezzi della storia di un paese che Fattore nobilita anche ripercorrendo di suo quei luoghi alla ricerca di 'italiani perduti'. Poi, da non perdere, la storia del somalo studente di Radio Elettra di Torino che sbeffeggia la tecnologia occidentale: ma questo è un altro tornante della biografia italiana.
   

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