(di Roberto Nardi)
Nel grande androne a pianoterra ci
sono le porte d'acqua che fanno da filtro al rumore unico della
città, mentre dalle finestre dei piani affacciati sulla
fondamenta i tetti di Venezia paiono quasi portati dalla luce
abbagliante dentro le stanze con parte dei soffitti coperti da
un'arte che parla la lingua dell'oggi ma si confronta con il
passato. È a uno spazio aperto al continuo divenire dell'arte, a
una creatura viva in dialogo con la vitalità mai spenta di
Venezia, quello che il collezionista e filantropo Nicolas
Berggruen pensa quando parla del presente e del futuro di
palazzo Diedo.
Un palazzo a cinque piani del XVIII secolo realizzato da
Andrea Tiralli per la famiglia Diedo, passato poi al Comune per
diventare scuola elementare poi sede del Tribunale di
Sorveglianza: chiuso per un decennio, è stato acquisito alcuni
anni fa da Berggruen. Oggi, dopo due anni quasi di restauro, con
gli ultimi ritocchi ancora in corso, il palazzo, sede della
fondazione benefica creata dal collezionista per approfondire i
rapporti tra l'arte contemporanea e i secoli passati, tra
Oriente e Occidente, è stato riaperto per ospitare l'esposizione
"Janus" (Giano). La mostra riunisce i lavori, temporanei e in
parte permanenti, ideati da undici artisti in diretto rapporto
con l'architettura dell'edificio e in dialogo con le tradizioni
dei mestieri d'arte veneziani.
L'esposizione, dal 20 aprile al 24 novembre, le stesse date
della Biennale d'Arte, è stata l'occasione per aprire le porte,
per dare il segno iniziale - è stato ricordato - di un palazzo
vivo. Lo spirito è chiaro: non idee museali, ma luogo di
produzione, di incontri, di residenze per artisti chiamati a
operare in loco e in stretto contatto con la realtà lagunare.
L'assaggio è una esposizione che presenta lavori di personalità
come Urs Fischer - splendido il riflesso della luce veneziana
sulle 600 gocce di vetro soffiato, "Omen" - Mariko Mori, Ibrahim
Mahatma, Sterling Ruby, Jim Shaw, Liu Wei, Aya Takano. Sospesi
nel tempo e nello spazio i monocromi che paiono fatti di luce di
Hiroshi Sugimoto (c'è anche una teca con il libro di Newton del
1704 che dà il titolo alle opere). Ipnotici i lavori di Lee Ufan
(suo su un soffitto un'opera permanente e sui soffitti le
fermanti anche di altri artisti coinvolti nella mostra). Se
Holler opera sulla scala e Ruby sull'illuminazione dell'androne,
Pietro Golia, quasi a simboleggiare il divenire di un palazzo
dell'arte, ha fissato per novembre la realizzazione di un
lavoro-pavimento veneziano al pianoterra.
Intanto, per tutta la durata della mostra, ci saranno nella
sala i sacchi con il materiale e gli operai che lo faranno.
L'esposizione si articola anche in due progetti speciali: uno
dell'artista Rhea Dillon l'altro della Polaroid Foundation
"20x24".
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