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Russell Crowe, 60 anni da gladiatore

Russell Crowe, 60 anni da gladiatore

Divo irregolare con la passione della musica

ROMA, 06 aprile 2024, 17:10

di Giorgio Gosetti

ANSACheck

Russell Crowe - RIPRODUZIONE RISERVATA

 Se ricominciasse oggi la saga di "Harry Potter" non ci sarebbe da stupirsi se a vestire i panni del gigante Hagrid ci fosse Russell Crowe: con la sua folta barba, il fisico massiccio, l'espressione dolce che contrasta con l'imponenza del personaggio, il popolare attore che Roma ha scelto come testimonial nel mondo non assomiglia certamente più al centurione Massimo Decio Meridio che gli regalò un Oscar e la popolarità mondiale ne "Il Gladiatore" (2001). Da allora sono passati più di 20 anni e il più celebre divo australiano di sempre sembra un uomo pacificato col suo corpo e le sue passioni. In fondo preferisce suonare dal vivo, esibirsi con la sua band piuttosto che concedersi ai fasti del red carpet, mostrarsi in pubblico con gli occhiali da miope e un corpaccione tanto diverso dall'atletico ragazzo degli esordi, scherzare sul palco del festival di Sanremo, viaggiare incessantemente per poi tornare nella sua casa di Los Angeles dove è rimasto dopo il divorzio dalla cantante Danielle Spencer. Non ci sarà nel sequel del "Gladiatore" (che si concludeva con la sua morte), ma ha in serbo un film in uscita ("Sleeping Dogs"), un altro per l'estate ("Kraven - il cacciatore") e almeno quattro progetti in produzione.

La sua è la fotografia di un divo irregolare che sembra prendere il lavoro come un hobby e la sua vera passione (la musica) come il mestiere sognato, consapevole che nel primo caso è una star, con tutti i privilegi del caso, e nel secondo che non entrerà nella Hall of Fame dei musicisti.

Nato a Wellington, Nuova Zelanda, il 7 aprile del 1964 è da sempre orgoglioso delle sue origini maori (per parte di madre), di un cocktail di razze che si sono fuse nei secoli (irlandese, tedesca, gallese, scozzese, perfino italiana), del suo essersi fatto dal nulla e di aver imparato a recitare come autodidatta per passione e determinazione. Ha frequentato i set fin da piccolissimo (i genitori lavoravano al catering delle produzioni), lasciato casa a 16 anni spostandosi per anni tra il paese d'origine e l'Australia, spesso guadagnandosi da vivere come musicista di strada, facendosi le ossa nelle soap-operas fino a strappare il primo ruolo nel 1991 ("Crossing") e il successo con "Skinheads" e "Romper Stomper" l'anno successivo.
    Nel 1997, approdato a Hollywood, entra nel cast di "L.A. Confidential" e si conquista la prima nomination nella Guild degli attori. Il ruolo dell'investigatore senza illusioni, piegato dai fantasmi del suo mestiere, gli calza a pennello e ne ripeterà il successo, con molte varianti, lungo tutta la carriera. Ma è il nuovo secolo a farne una star con le tre candidature successive all'Oscar per "Insider" di Michael Mann, "Il Gladiatore" di Ridley Scott, "A Beautiful Mind". Per due volte viene sconfitto da Denzel Washington nonostante avesse dato vita a memorabili eroi del quotidiano, ma con il kolossal-paeplum si prende la rivincita e la stella sulla Walk of Fame.

Benché non abbia avuto un successo analogo, "Master and Commander" (Peter Weir, 2003) rimane uno dei suoi ruoli più intensi e tra i suoi favoriti. Nella parte dell'ufficiale di marina Jack Aubrey, al comando della fregata Surprise, Russell Crowe sfoggia una varietà di atteggiamenti e sentimenti che sottraggono in fretta il film allo stereotipo del period-film di guerra per farne un fantastico viaggio alla scoperta del mondo tra Capo Horn e le Isole Galapagos in quell'800 che vedeva l'Inghilterra dominare i mari del mondo alla scoperta di nuovi confini. Con la stessa naturalezza avrebbe poi indossato i guantoni di un pugile sconfitto ("Cinderella Man"), di un tormentato Robin Hood (ancora con Ridley Scott), del patriarca Noè (per la regia di Darren Aronovsky), perfino dell'implacabile poliziotto Javert nell'adattamento dei "Miserabili" a musical. Ai poliziotti è tornato spesso, perfetta incarnazione di un "modello Marlowe", investigatore disincantato e fedele ai propri principi, anche se di recente il pubblico lo ricorda per un naturalistico "Esorcista del papa". Ad ogni tappa denota una curiosità istintiva e ribelle che lo rende inclassificabile e inatteso. Alla soglia dei 60 anni sembra pronto per scrivere un percorso artistico tutto da tracciare, ma non ci sarebbe da sorprendersi se scartasse di lato ancora una volta, come a inseguire un sogno interiore che ha proiettato nella sua unica e intensa regia, "The Water Diviner" del 2014.

Ambientato tra Gallipoli e l'Anatolia alla fine della prima guerra mondiale, è il racconto di viaggio dell'agricoltore australiano Joshua Connor che ha attraversato il mondo per ritrovare tre figli ufficialmente caduti sulla spiaggia di Gallipoli (omaggio indiretto al film omonimo del suo maestro Peter Weir) avendo promesso alla moglie di riportarne i corpi a casa. Joshua è un radioestesista naturale, ma oltre l'acqua sotto la terra questa volta deve trovare i suoi morti. Scoprirà che il maggiore è ancora vivo e riuscirà a portarlo in salvo con l'aiuto di un ragazzino turco e di sua madre. Il film è così insolito e personale che merita anche oggi di essere recuperato.  Perché è proprio in questa diversità dai ruoli che Hollywood gli ha cucito addosso che oggi e domani forse Russell Crowe farà rivivere il suo mito. 
   

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