Avrebbe compiuto 88 anni il 29 agosto William Friedkin e pochi giorni dopo la Mostra di Venezia lo avrebbe degnamente festeggiato con la presentazione fuori concorso del suo nuovo film "L'ammutinamento del Caine: Corte Marziale".
L'occasione sarà più triste e la sua sedia rimarrà vuota in quel Palazzo del Cinema che aveva eletto a sua seconda casa, dove nel 2013 gli era stato conferito il Leone d'oro alla carriera e dove aveva portato i suoi ultimi, straordinari lavori: "Killer Joe" (2011) e lo sconvolgente documentario "The Devil and Father Amorth" (2017). Per tutti Bill Friedkin era l'autore de "L'esorcista"(1973), il film più terrorizzante di sempre, quello che portava il Male dentro le nostre vite quotidiane proprio come accadeva a Ellen Burstyn alle prese con la possessione che entrava nel corpo della sua amatissima figlia, la giovanissima Linda Blair. Se quello fu il suo momento di massima popolarità, in verità la sua carriera era cominciata molto prima e oggi viene ricordato come uno dei "giganti" del cinema americano, un precursore e un maestro tra quelli che trasformarono Hollywood negli anni '70.
Friedkin non è mai stato un autore "facile", non ha mai cavalcato le mode, si è imposto per uno stile rigoroso e personale, assistito da grande maestria tecnica e da un impegno ideologico poco usuale quanto spesso scomodo. Del resto proprio "L'esorcista" gli fruttò moltissimi guai con la censura (il director's cut con 11 minuti di scene tagliate si è visto solo nel 2000) e uguale sorte toccò qualche anno dopo al notevole "Cruising" con Al Pacino, furiosamente attaccato da tutte le associazioni gay perché ritenuto retrivo e "fascista". Niente di tutto questo caratterizzava l'uomo, una delle menti liberal più lucide della sua generazione, ma mai disposto a compromessi quando si parlava del male e della violenza. Quando nel 1971 l'Academy lo ricevette con tutti gli onori assegnando ben 5 oscar al suo "Il braccio violento della legge", pochi capirono che con quel lavoro il poliziesco americano girava pagina, inseriva accenti di cronaca e verità assenti dallo schermo dai tempi del primo film noir e dettava un ritmo sincopato al montaggio e al racconto che avrebbe trasformato lo stile del genere in modo ancora attualissimo.
William Friedkin a Cannes nel 2016 (di Giorgio Gosetti)
"Sono stato molto onorato di ricevere questo invito continuando cosi' la tradizione del Festival di Cannes di ospitare delle 'lezioni di cinema': ho poco da insegnare, ma penso che mai come in questo momento il cinema stia conoscendo una delle sue sfide piu' difficili e mi fa piacere poterne ragionare davanti a un pubblico che ama davvero i film, non si limita ad andare a vederli".
Esordisce nel 2016 cosi', amichevolmente provocato da un "papa" della critica francese e internazionale come Michel Ciment, William Friedkin, il mitico autore de "L'esorcista", dando il calcio d'avvio alla sua masterclass. Il maestro americano, classe 1935, domina la platea con un dialogo piano e sofisticato, dietro cui nasconde una proverbiale timidezza. Ritorna volentieri ai suoi primi passi nel cinema ricordando che il suo esordio fu in un musical ("Good Times" del 1967 interpretato da Sonny Bonny e Cher che allora erano una coppia in scena e nella vita). Il suo talento per la commedia unito a una tecnica sofisticata che sperimentava di continuo con una precisione registica degna di Hitchcock lo porta negli anni '70 ad affrontare uno dei generi classici di Hollywood come il noir e il risultato e' "Il braccio violento della legge" del '71, premiato con cinque Oscar e acclamato ovunque. "Era una storia molto legata alla Francia - dice - e ricordo le sequenze a Marsiglia come un vero tour de force dal punto di vista della messa in scena. Mi appassionava misurarmi con i miei modelli e a quell'epoca avevo una vera venerazione per Fritz Lang che ha saputo scrivere alcune delle piu' grandi pagine del noir americano".
Non a caso poco dopo Friedkin dedica al suo maestro una lunga intervista filmata che nel '74 diventa uno dei punti fermi dei dialoghi tra autori come quelli tra Truffaut e Hitchcock o Bogdanovich e Orson Welles. "Se devo pensare a dei maestri - ricorda oggi - mi viene subito in mente Welles perche' fu proprio la visione di 'Citizen Kane' a mettermi sulla buona strada: un film che mi cambio' la vita. E poi Hitchcock con cui ho anche lavorato in uno dei telefilm da lui prodotti e che ho diretto agli esordi, nel '65. Ma c'e' anche molta Europa nei miei gusti, basta pensare agli autori francesi come Truffaut e Malle e continuo a considerare Fellini il piu' grande visionario della storia del cinema. Il successo dell'Oscar mi spalanco' le porte della Hollywood che conta e nel '73 mi appassionai tanto al progetto dell''Esorcista' che ancora oggi mi viene voglia di limare qualche dettaglio e rivederne il montaggio". Invece fu proprio la passione per il cinema europeo a tradirlo nel momento di maggior fulgore: "Decisi di affrontare il remake di 'Vite vendute' di Clouzot e volli anche produrlo. Ma feci un drammatico errore di casting: potevo avere Steve McQueen ma litigai con Ali McGraw che allora era sua moglie a proposito del set che io volevo ad ogni costo. Lei indusse il marito a rinunciare e, insieme a una serie di infortuni sul set, comincio' da li' il disastro del film. Eppure ancora oggi lo considero il mio lavoro piu' personale e importante".
Dato molte volte per finito e molte volte tornato sulla scena da protagonista (l'ultima nel 2011 con il bellissimo "Killer Joe" che porto' a Venezia dove due anni dopo ebbe il Leone d'oro alla carriera), Friedkin resta pero' scettico sul futuro del suo mestiere: "Sono tornato alla tv anche nell'ultimo decennio con CSI - dice - e continuo a leggere copioni in cerca di buone idee. Ma penso che il grande cinema sia ormai come il teatro d'opera a cui mi dedico con passione totale, un evento a misura di coloro che lo sanno apprezzare. Il resto e' routine e spesso non vale la pena di farlo o di vederlo. Non dico che non ci sia un'eccellente nuova leva di artisti, non dico che il digitale ha ucciso quest'arte, ma resto convinto che ne abbiamo smarrito il senso vero e la poesia segreta. Cosi' affrontiamo una nuova epoca ma non sappiamo ancora dove andare. Forse non e' cosa per me, forse qualcuno di pensera'". William Friedkin ha scelto del resto la via della pagina scritta per testimoniare del suo lavoro: il bellissimo libro di memorie, davvero una lezione di cinema, intitolato "Friedkin Connection". Il festival gli rendera' omaggio anche domani presentando nella sezione Cannes Classics "To Live and Die in L.A" del 1985 in versione restaurata. "Non mi dispiace che molti considerino anche adesso 'L'esorcista' uno dei film piu' terrificanti di tutti i tempi - conclude scherzando. Vuol dire che quando di notte sognano gli torno in mente io. Anche questo significa restare nella memoria delle prossime generazioni".
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