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Pistoletto "col Covid ho sperimentato il vuoto"

Pistoletto "col Covid ho sperimentato il vuoto"

L'artista ricoverato per 4 settimane, "salvo grazie ai medici"

ROMA, 29 aprile 2020, 20:19

di Silvia Lambertucci

ANSACheck

PISTOLETTO - RIPRODUZIONE RISERVATA

PISTOLETTO - RIPRODUZIONE RISERVATA
PISTOLETTO - RIPRODUZIONE RISERVATA

 "Un'esperienza che non avevo mai pensato di poter provare. Se ne vieni fuori, come fortunatamente è capitato a me, devi pensare che sia stata utile". Ottantasette anni da compiere a giugno, Michelangelo Pistoletto, tra gli esponenti più importanti del movimento artistico che nel 1967 il critico Germano Celant definì "arte povera", è appena tornato nella sua casa di Biella, convalescente, dopo quattro settimane passate nell'ospedale della sua città. Anche lui è stato colpito dal coronavirus come Celant, suo fraterno amico, tra l'altro più giovane di sette anni, che purtroppo non ce l'ha fatta. "Sono felice di essere vivo, ma infelice della morte di Germano", confida in una conversazione con l'ANSA. "Io sono stato più fortunato, sono stato preso in tempo e curato benissimo, i medici sono stati davvero straordinari". Domani si sottoporrà ad un nuovo tampone che si augura negativo.
    Intanto, nel dolore per la perdita dell'amico ("Le nostre mogli si sentivano per telefono, Germano era a Milano io a Biella, ma sono rimaste sempre in contatto") ripensa all'eccezionalità dell'esperienza vissuta. "Nel letto di ospedale, senza la possibilità di essere assistito da mia moglie, da un parente, ho sperimentato il vuoto", racconta. Un vuoto però, ragiona Pistoletto, "che esiste ed è fondamentale per creare, ma che noi, nella vita convulsa dei nostri tempi, cerchiamo sempre di coprire". Per lui, invece, proprio quel vuoto è stato un elemento fondamentale nella ricerca creativa degli ultimi decenni, del celebre simbolo del Terzo Paradiso, della città dell'arte che ha fondato a Biella e nella quale ha fissato anche la sua dimora e il suo laboratorio.
    "Penso al mio simbolo trinamico", dice citando il logo del Terzo Paradiso, "i due cerchi interni che si incontrano con il cerchio interno, che è vuoto, e con questo incontro creano qualcosa. Ecco: proprio quel cerchio centrale indica la presenza di un vuoto necessario per creare e per comunicare".
    La malattia come esperienza creativa, dunque, per l'artista e non solo per lui: "Credo che dopo questa pandemia, tutti dovremo fare i conti con quello che è stato e quello che sarà, con la condizione umana. Il messaggio che con la città dell'arte abbiamo voluto mandare al mondo, oggi, alla luce di quello che stiamo vivendo, appare ancora più attuale".
   

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