Una mattina presto di 100 anni fa, il 21 luglio 1914, in un'Italia ancora ignara della prima guerra mondiale, nasceva a Roma - "casualmente" come avrebbe detto con un sorriso complice - Giovanna Cecchi, in arte Suso Cecchi d'Amico. E nello stesso mese di luglio di quattro anni fa, appena dieci giorni dopo il suo compleanno, la grande signora del cinema italiano faceva scendere il sipario su quella formidabile e normalissima opera d'arte che sono stati la sua vita e il suo mondo.
"Il cinema è la mia professione - raccontava alla nipote Margherita in una bellissima confessione autobiografica pubblicata da Garzanti nel 1996 - un lavoro che ho avuto la fortuna di fare divertendomici anche, e di amare moltissimo. Ma la mia vita non si esaurisce nel lavoro ed è addirittura possibile che, curiosa e disponibile come sono sempre stata, avrei finito per trovarmi bene anche se mi fossi occupata di architettura, di medicina o di numismatica". Figlia dello scrittore Emilio Cecchi e della pianista Leonetta Pieraccini, la giovanissima allieva del Liceo Chateaubriand vive da subito un fermento culturale che le connota il gusto, le passioni, lo stile ed il comportamento.
Toscani entrambi, figure riconosciute di una borghesia intellettuale che ben presto nutrirà sentimenti antifascisti pur senza esporsi direttamente, i genitori di Suso costruirono per la figlia, forse senza saperlo, una culla ideale di saperi che si ritrova per intero nella sua opera e nella sua vita.
Terminato il liceo, Suso va a studiare in Svizzera e a Cambridge. Poi, in aperta polemica col padre, la ragazza si rivolge addirittura ad un gerarca fascista, il ministro Bottai, per trovare lavoro e per sette anni sarà impiegata al ministero delle Corporazioni nel settore del commercio con l'estero. Parla le lingue, è coscienziosa, capisce in fretta (tanto da vantare l'amicizia con il giovane Enrico Cuccia), ma continua ad amare le arti e si lascia sedurre dal musicologo Fedele "Lele" d'Amico che sposa nel 1938. Se nella sua casa prima circolavano scrittori, poeti, teatranti e cineasti, adesso si aggiungono musicisti e politici, dal momento che Lele milita nella resistenza cattolico-comunista ed è presto costretto alla clandestinità. Sarà proprio l'esigenza di mandare avanti da sola la famiglia in tempo di guerra e durante la malattia del marito (nel frattempo erano nate le due figlie Silvia e Caterina, cui poi si sarebbe aggiunto Masolino) a spingere Suso a prendere in mano la penna e sfruttare le conoscenze paterne: prima come traduttrice dall'inglese, poi come insegnante, infine come sceneggiatrice.
Il debutto avviene nel 1946 con Renato Castellani ("Mio figlio professore") e Marcello Pagliero ("Roma città libera"), ma già due anni dopo lavora a "Ladri di biciclette" e l'idea del finale porta proprio la sua firma. Di una carriera che conta oltre 150 titoli tra cui una serie infinita di capolavori e sodalizi prediletti (Luchino Visconti, Mario Monicelli, Francesco Rosi, Ennio Flaiano) è quasi superfluo dire: da "Senso" a "Le amiche", da "I soliti ignoti" a "Salvatore Giuliano", da "Il Gattopardo" a "Speriamo che sia femmina", da "Pinocchio" a "Cuore" (per la tv), Suso Cecchi d'Amico è stata il nostro cinema per più di mezzo secolo. Il primo premio ufficiale è il Nastro d'argento per "Vivere in pace" di Luigi Zampa nel 1947; l'ultimo è il Leone d'oro alla carriera alla Mostra di Venezia del 1994. In mezzo sette Nastri, tre David di Donatello alla carriera e un Premio in suo onore istituito nell'adorata Castiglioncello.
L'eredità che 100 anni dopo ci lascia Suso Cecchi d'Amico consiste in una professionalità quasi sconosciuta prima di lei nel nostro cinema. "Come scrive il mio collega Carrière - ha detto una volta -, la sceneggiatura è il bozzolo, e il film la farfalla. Il bozzolo ha già in sé il film, ma è uno stato transitorio destinato a trasformarsi e a sparire. Lo sceneggiatore deve impadronirsi al meglio della materia e lavorarci poi con il regista e con i colleghi per trarne una proposta valida in assoluto, mirata a sfruttare al massimo le possibilità del regista ed evitando il pericolo di fare letteratura. Deve scrivere con gli occhi". Ma oltre a questo Suso ha portato nella cultura italiana un respiro europeo, scevro da schematismi e personalismi, che le permetteva di lavorare con intere squadre di colleghi tra cui spesso grandi scrittori (da Brancati a Moravia). C'era in lei una curiosità "professionale" che la vedeva a suo agio in ambienti diversi, dal teatro alla musica, dalla pittura alla politica; un'attenzione ai valori - in primis quello della famiglia - che sapeva allargare ad artisti di passaggio, giovani da incoraggiare, amici stretti che non lasciò mai.
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