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La parola della settimana: ritardo (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana: ritardo (di Massimo Sebastiani)

Che cosa è il ritardo e perché lo temiamo così tanto anche quando non c'entrano niente le rate da pagare o gli obiettivi del Pnrr da raggiungere?

03 aprile 2023, 09:45

Redazione ANSA

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Parola della settimana Ritardo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Parola della settimana Ritardo - RIPRODUZIONE RISERVATA
Parola della settimana Ritardo - RIPRODUZIONE RISERVATA

Siamo in ritardo nell’attuazione del Pnrr, ovvero il piano nazionale di ripresa e resilienza con cui l’Italia si è impegnata a gestire i fondi del Next Generation Eu anche noto, più confidenzialmente, come Recovery Fund o Recovery Plan. A parte le definizioni, si tratta di circa 700 miliardi che l’Europa ha messo sul piatto per ripartire dopo lo shock della pandemia e di cui all’Italia è toccata la fetta più grossa, circa 200 miliardi. Che una parte dei progetti del Pnrr sia in ritardo lo ha riconosciuto lo stesso governo italiano per bocca del ministro per gli affari europei Raffele Fitto, Il quale ha tenuto a precisare però che questi ritardi provengono da lontano e che la responsabilità non può essere attribuita a un governo insediato da pochi mesi. Insomma, la colpa è di qualcun altro. Al di là di qualunque polemica politica, è il ritardo in se stesso a dare fastidio e ad essere vissuto sempre come una colpa. ‘Sei sempre in ritardo’ è una delle accuse che viviamo con più fastidio, specie quando è condita dalla classica chiosa: ‘è una forma di maleducazione arrivare in ritardo’.

Che, come si vede, sposta immediatamente su un piano morale una questione che potrebbe essere, come nel caso del Pnrr, solo pratica, tecnica e di opportunità Ecco dunque un’altra parola con parecchie risonanze, applicazioni e sfumature. Nell’etimologia non c’è alcunché di misterioso: all’origine c’è il latino retardare dove però la particella re- rafforza la parola tardare come se fosse tardare ancora di più. Ma il ritardo è sempre negativo? Certo, se ci fa perdere dei soldi, come potrebbe capitare nel caso del Pnrr o come capita quando non paghiamo una rata e diventiamo morosi, siamo portati a rispondere di sì. Tra l’altro moroso deriva dal verbo latino morari che vuol dire appunto ritardare, sospendere. Però, se ci pensate, capito spesso di leggere o sentir dire che ‘è stata chiesta una moratoria’. E’ un po’ come se travolti dalla velocità, dalle scadenze, dall’accumulo di impegni, avessimo costantemente bisogno di chiedere di fermarci, di prendere fiato, di frapporre tempo in mezzo. Lo ha fatto perfino Elon Musk tra gli altri, uno che manda razzi nello spazio per far divertire turisti cosmici e molto ricchi, a proposito dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.  

 

Proprio il contrario di chi invita ad essere fattivi e a non procrastinare quando dice: non mettiamo tempo in mezzo, o meglio (o peggio): ‘non perdiamo altro tempo’. E’ solo una delle tante dimostrazioni di quale strano animale sia il tempo, compagno ineludibile, senza il quale nemmeno la vita sarebbe concepibile, eppure oggetto misterioso della riflessione filosofica e scientifica da oltre 2000 anni, dai dubbi esposti con straordinaria capacità di autoanalisi da Agostino nelle sue Confessioni alla dissoluzione dell’idea comune di tempo da parte della fisica quantistica, nonostante gli sforzi, lodevoli e affascinanti, di Aristotele prima e poi di Kant, Bergson e Heidegger fra gli altri.

A questa apparente contraddizione ha dedicato un libro uno dei più interessanti interpreti della contemporaneità, il filosofo coreano Byung-Chul Han, che nel suo ‘Il profumo del tempo’ dedica pagine che forse non sarebbero piaciute a Aristotele o Kant al tema dell’indugiare, del fermarsi, del mettere in pausa. L’esordio di uno dei prodotti che hanno segnato gli ultimi 40 anni, l’orologio Swatch, avvenne proprio con un quadrante di plastica dove al posto di 12, 3, 6 e 9 c’era scritto Don’t / Be / Too / Late (Non essere troppo in ritardo): una forma di moderna autoironia per chi produce un orologio visto che in teoria l’oggetto dovrebbe servire anche a non essere affatto in ritardo. E un altro terreno dove invece il ritardo è o fatale o fonte di struggenti rimpianti oppure prova poetica della dimensione soggettiva del tempo, che sarebbe invece molto piaciuta a Bergson, è l’amore [Gino Paoli].

Gli innamorati che dicono ‘è troppo tardi’ non possono essere consolati né da Tito Livio e dal suo celebre proverbio ‘meglio tardi che mai’ (chissà se Fitto ha provato a citare Tito Livio con la commissione europea) né dall’indimenticato (almeno dai boomer) maestro Manzi che negli anni ’60 del Novecento alfabetizzò una parte d’Italia con il suo ‘Non è mai troppo tardi’, che oggi forse qualcuno potrebbe definire slow school. Non è tutto: Otis Redding, lo stesso che aveva cantato ‘It’s too late’ perché, ovviamente, lei se ne è andata ma lui la invoca: ‘Non lasciare che sia troppo tardi’, canterà anche il suo opposto, ovvero ‘I’ve been loving you too long’.

 

 

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