Si preparano a una vigilia di Natale
molto difficile i volontari della Sea Eye, la nave per i
salvataggi in mare della omonima Ong tedesca, che si trova a 12
miglia da Porto Empedocle con 214 persone a bordo, salvate dalla
morte nel Mediterraneo. "Da quattro giorni chiediamo un porto
sicuro ma non abbiamo risposta - racconta Carla Cioffi,
psicologa delle emergenze che si trova a bordo della nave -.
Prima abbiamo ricevuto un rifiuto da Malta, ora attendiamo una
risposta dalle autorità italiane alle quali abbiamo inoltrato
quattro richieste".
I migranti, di diverse nazionalità, sono stati salvati in
cinque diverse operazioni tra il 16 e 17 dicembre. Tra loro 29
donne, di cui 7 incinta, e 8 bambini, trovati in condizioni
disperate, dopo anche tre giorni di navigazione sotto la pioggia
su natanti che imbarcavano acqua. Nove dei 223 migranti, in
precarie condizioni di salute, sono riusciti a sbarcare negli
ultimi giorni. Ma le condizioni a bordo, dove ci sono un dottore
e due infermieri, si fanno ogni giorno più difficili. "Se non ci
daranno il permesso di sbarcare oggi - racconta Cioffi -, faremo
la vigilia di Natale qui a bordo. Offriamo due pasti caldi al
giorno e la colazione: riso e fagioli, oppure lenticchie e cous
cous. Facciamo lezioni di italiano, abbiamo dato giocattoli ai
bambini, fatto ginnastica con gli uomini e ballato con le donne.
Per fortuna il mare non è mosso. La speranza che ci diano oggi
un porto sicuro per passare il Natale sulla terra ferma". Nel
Mediterraneo ci sono anche la Geo Barents e l'Ocean Viking, con
un totale di circa 600 persone a bordo.
"Nei giorni scorsi è sbarcata una donna incinta con gravi
dolori, altri con problemi cardiaci, ieri abbiamo trasportato un
uomo che aveva perso i sensi - spiega Cioffi -. Ci sono casi di
sofferenza psicologica: non è solo l'attesa che li sfinisce,
passare tre giorni in mare significa arrivare in condizioni
penosa. Pesa anche il bagaglio che si portano dietro, dai luoghi
dai quali provengono. Non con tutti si può parlare, perché
parlano solo dialetti incomprensibili. Sono sfiniti fisicamente
e psicologicamente, ma il fatto di arrivare vicino all'Italia
comunque li ha tranquillizzati, avevano paura di andare in
Libia".
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