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L'Edipo Re del Teatro dell'Elfo in Sardegna per Cedac

L'Edipo Re del Teatro dell'Elfo in Sardegna per Cedac

Una rilettura contemporanea con i costumi di Antonio Marras

CAGLIARI, 13 febbraio 2024, 11:02

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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"Edipo Re. Una favola nera". E' il visionario spettacolo del Teatro dell'Elfo in scena dal 14 al 18 febbraio al Massimo di Cagliari e il 20 al Comunale di Sassari per Cedac. Nel cast, nei ruoli di Tiresia, Laio e la Sfinge, Ferdinando Bruni, che firma drammaturgia e regia con Francesco Frongia. Con lui tre giovani attori: Edoardo Barbone, Vincenzo Grassi e Mauro Lamantia in Edipo.
    "Nel rapporto tra libertà e necessità, tra la volontà di determinare la nostra vita e l'accettazione degli eventi su cui non possiamo intervenire, sta la nostra capacità di stare al mondo", dice all'ANSA Ferdinando Bruni. Il suo Edipo è un' inedita versione dell'opera di Sofocle, dove il dramma arcaico si intreccia alle moderne variazioni sul mito: "siamo partiti dall'idea di rappresentare l'Edipo Re - racconta l'artista - ma durante la preparazione dello spettacolo, ci siamo resi conto che la storia raccontata da Sofocle ha continuato ad affascinare scrittori, drammaturghi e poeti fino ai giorni nostri, quindi abbiamo messo in scena il testo usando quello che ci sembrava più forte in questa narrazione".
    "Il rapporto tra Edipo e Giocasta deriva da 'La macchina infernale' di Jean Cocteau, per il personaggio della Sfinge prendiamo spunto da Steven Berkoff, il suo dialogo con Edipo diventa un incontro tra il maschile e il femminile. Il gioco crudele che gli dei fanno su Edipo nasce da una vendetta nei confronti di Laio che, durante un banchetto aveva stuprato il figlio del re, infrangendo, tra l'altro,la regola sacra dell'ospitalità, punita attraverso il figlio. Edipo non ha colpa, fa tutte le cose giuste, risolve l'enigma, uccide la Sfinge e sposa la regina: è l'inizio della fine, l'eroe fuggendo dall'oracolo incontra il suo destino", sostiene.
    I costumi, quasi abiti-sculture, sono di Antonio Marras: "non amo fare costumi per il teatro, se vengono considerati come accessori - rivela il celebre artista algherese - ho sempre pensato che i costumi fossero e dovessero essere parte integrante del processo, allo stesso modo della drammaturgia, scene, luci, musica, un elemento di questo mosaico: l'abito non è un semplice indumento, ma è parte integrante dello spettacolo.
    Un alfabeto, un codice con cui ti esprimi, lanci dei messaggi al pubblico, a coloro che incontri dall'altra parte del mondo: parole che formano un vocabolario".
    Nel foyer del Massimo dal 14 al 18 febbraio la mostra "Vestire il Mito" con i disegni di Antonio Marras.
   

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