Sono stati allestiti in tutti i Comuni della Sardegna gli oltre 1.800 seggi per le elezioni regionali: domenica si vota dalle 6.30 alle 22, mentre lo scrutinio delle schede inizierà lunedì alle 7. Sono 1.470.463 i sardi chiamati alle urne: in lizza sette candidati a presidente della Regione, 24 liste e 1.440 candidati per un posto in Consiglio regionale (60 i consiglieri da eleggere). Gli aspiranti governatori sono: Christian Solinas (centrodestra), Massimo Zedda (Progressisti Sardegna), Francesco Desogus (M5s), Mauro Pili (Sardi liberi), Andrea Murgia (Autodeterminatzione), Paolo Maninchedda (Partito dei Sardi), Vindice Lecis (Sinistra sarda). Non è previsto il ballottaggio. I cittadini sardi si confronteranno con una novità: la doppia preferenza di genere e potranno indicare nella scheda due nomi di candidati, un uomo e una donna della stessa lista. E' previsto anche il voto disgiunto: si può votare per una lista e allo stesso tempo scegliere un candidato presidente di un altro schieramento.
Per l'elezione del successore di Francesco Pigliaru (centrosinistra), docente universitario sassarese che non si è ricandidato dopo cinque anni al governo della regione sarda, non è previsto il ballottaggio. La legge elettorale regionale, infatti, prevede che venga eletto presidente il candidato che ottiene la maggioranza dei voti. La sua coalizione, però, ottiene un premio diverso a seconda dei voti ottenuti. Il premio di maggioranza viene attribuito con un meccanismo che prevede il 60% dei seggi del Consiglio regionale (36 su 60) se il presidente eletto ha ottenuto più del 40% dei voti; il 55% dei seggi (33 su 60) se il presidente ha ottenuto tra il 25 e il 40%. Non è previsto alcun premio di maggioranza se il presidente eletto ha ottenuto meno del 25%. La soglia di sbarramento è fissata al 10% per le liste che si presentano in coalizione e al 5% per le liste non coalizzate.
Tregua armata pastori prima del voto, annunciati 10 mln
di Roberta Celot
La vertenza latte, con il tavolo sul prezzo rinviato a dopo le elezioni, pesa come un macigno sul voto di domenica 24 in Sardegna. Queste ultime due settimane hanno visto montare una protesta che è diventata rivolta: i pastori, prima in ordine sparso poi con azioni sistemiche e talvolta eclatanti, hanno bloccato la produzione dei caseifici, interrotto le principali vie di comunicazione tra il nord e sul sud dell'Isola, fermato autocisterne e buttato migliaia di litri di latte ovino. "Meglio gettarlo che farcelo pagare una miseria", è stato il coro unanime. Ora è tregua 'armata'. L'assemblea degli allevatori convocata per domani a Tramatza (Oristano), nella stessa sala dove era stata approvata la controproposta per partire subito con un prezzo a 80 centesimi contro i 72 offerti al tavolo con il ministro Centinaio, è stata rinviata a poche ore dall'annuncio. "Una questione di opportunità", fa sapere il Movimento dei pastori. Mentre il governo annuncia, in zona cesarini, un decreto legge che stanzia 10 milioni per le emergenze. Il messaggio che filtra in queste ore è quello di mantenere la calma. Ma il rischio di boicottaggio ai seggi, magari di qualche 'testa calda', non è ancora del tutto fugato. "Proteste? Non lo so, vedremo", dicono ancora oggi gli allevatori. Tutti pronti, però, a sedersi al tavolo con il prefetto di Sassari per riprendere il negoziato "il prima possibile". La rivolta dei pastori è esplosa nel pieno di una campagna elettorale fiacca e ha occupato in un istante la ribalta. Riuscendo anche a compiere un mezzo miracolo: il pensiero unico di tutti gli aspiranti governatore, concordi sulla necessità di intervenire presto e bene. Ma divisi su come raggiungere l'obiettivo. Con attacchi feroci e scambi di accuse tra i diversi schieramenti. Dei sette candidati in corsa - Christian Solinas (centrodestra), Massimo Zedda (centrosinistra), Francesco Desogus (M5s), Paolo Maninchedda (Pds), Mauro Pili (Sardi Liberi), Andrea Murgia (Autodeterminatzione) e Vindice Lecis (Sinistra sarda) - chi è entrato a gamba tesa contro i vertici della Lega è lo sfidante dei pentastellati, alleati di governo a Roma: "Dopo il fallimento dei tavoli di Roma e Cagliari, appare chiaro che l'azione di Matteo Salvini è del tutto fallimentare e il motivo è molto semplice - attacca Desogus - la Lega è dalla parte degli industriali e a loro non chiederà nessun sacrificio".
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