"Questo nuovo drammatico suicidio
di un altro detenuto evidenzia come i problemi sociali e umani
permangono nei penitenziari, lasciando isolato il personale di
Polizia penitenziaria, che purtroppo non ha potuto impedire il
grave evento, a gestire queste situazioni di emergenza. Il
suicidio è spesso la causa più comune di morte nelle carceri",
lo ha dichiarato il segretario generale del sindacato autonomo
Polizia penitenziaria Sappe, Donato Capece, all'indomani del
suicidio, nel carcere di Cagliari-Uta, di un detenuto di 28
anni, di origini russe, da sette mesi in cella per avere ucciso
nel maggio scorso i genitori adottivi.
"Gli istituti penitenziari hanno l'obbligo di preservare la
salute e la sicurezza dei detenuti, e l'Italia è certamente
all'avanguardia per quanto concerne la normativa finalizzata a
prevenire questi gravi eventi critici. Ma il suicidio di un
detenuto - ha sottolineato Capece - rappresenta un forte agente
stressogeno per il personale di polizia e per gli altri
detenuti".
"Per queste ragioni - ha aggiunto - un programma di
prevenzione del suicidio e l'organizzazione di un servizio
d'intervento efficace sono misure utili non solo per i detenuti
ma anche per l'intero istituto dove questi vengono implementati.
E' proprio in questo contesto che viene affrontato il problema
della prevenzione del suicidio nel nostro Paese. Ma ciò non
impedisce, purtroppo, che vi siano ristretti che scelgano
liberamente di togliersi la vita durante la detenzione. Negli
ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria
hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 19mila tentati
suicidi ed impedito che quasi 145mila atti di autolesionismo
potessero avere nefaste conseguenze".
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