Se si scompongono rime, accenti e
lunghezza dei versi, il nostro cervello farà meno fatica a
ricordare quelli della Divina Commedia rispetto a quelli
dell'Orlando Furioso. A mettere a confronto le due opere di
Dante Alighieri e Ludovico Ariosto è stato uno studio, diffuso
in occasione del Dantedì, che mira a quantificare l'efficacia
della metrica rapportata alla memorizzazione. Per indagare il
suo ruolo nei meccanismi cognitivi del cervello un gruppo di
neuroscienziati della Scuola internazionale superiore di studi
avanzati (Sissa) si è concentrato su due tra le più famose opere
della letteratura italiana, la Divina Commedia e l'Orlando
Furioso, focalizzandosi su tre componenti della metrica: rima,
accenti e lunghezza dei versi.
La ricerca, realizzata da Sara Andreetta Oleksandra
Soldatkina, Vezha Boboeva e Alessandro Treves del gruppo di
neuroscienze cognitive della Sissa, evidenzia una differenza tra
le due opere: sembra che i versi di Dante abbiano componenti
intrinseche per cui restano più impressi anche se la metrica
viene distrutta. "Abbiamo scelto passaggi dalla Divina Commedia
di Dante Alighieri e dall'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto e
li abbiamo privati di significato sostituendo a molte parole
chiave delle non-parole, in modo da mantenere comunque intatta
la prosodia e la metrica", racconta Andreetta, prima autrice
della ricerca.
"Da ciascuno di questi passaggi in versione nonsense ne
abbiamo poi generati altri tre - spiega - uno senza rima, uno
con gli accenti alterati, uno coi versi di lunghezza variabile.
Abbiamo verificato con un apposito test con circa 130
partecipanti la loro plausibilità poetica ovvero quanto i versi
'suonassero bene' nonostante le modifiche e ne è risultato che
sia per Dante che per Ariosto le tre componenti pesano proprio
in quest'ordine - conclude - più importante la rima, poi gli
accenti, poi la lunghezza corretta degli endecasillabi".
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