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A Festival Bologna alba vita con storia Lavinia

A Festival Bologna alba vita con storia Lavinia

Nata a Sant'Orsola di 23 settimane. 'In 25 anni cambiato tutto'

19 maggio 2016, 18:07

Redazione ANSA

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A Festival Bologna alba vita con storia Lavinia - RIPRODUZIONE RISERVATA

A Festival Bologna alba vita con storia Lavinia - RIPRODUZIONE RISERVATA
A Festival Bologna alba vita con storia Lavinia - RIPRODUZIONE RISERVATA

BOLOGNA - Se il tema di questa seconda edizione è 'Le età della vita', non poteva che iniziare con una storia ambientata letteralmente all'aurora della vita - e forse anche un po' prima - il festival della Scienza Medica che ha da oggi a Bologna. La protagonista è Lavinia, bimba nata nel dicembre del 2014 di appena 23 settimane all'Ospedale Sant'Orsola di Bologna e che oggi è apparsa allegra insieme ai suoi genitori tra gli applausi commossi di chi nella Sala degli Atti di Palazzo Re Enzo ne ha rivissuto la storia. A raccontarla, gli stessi protagonisti, 'guidati' dal prof. Giacomo Faldella, direttore della Neonatologia, nella prima 'Visita in corsia' - ricostruzioni con veri letti durante le quali il pubblico segue il clinico scoprendo come medesimi casi sarebbero stati affrontati in epoche differenti. Con una quasi certezza. Se Lavinia fosse nata anche solo pochi anni fa, nei suoi 423 grammi per 22 centimetri quasi certamente non ce l'avrebbe fatta.

"La storia della neonatologia è talvolta anche paradossale - ha detto il professor Luigi Tommaso Corvaglia, oggi nei panni di narratore di eccezione ma tutti i giorni responsabile della Terapia intensiva neonatale del S.Orsola - Per un secolo non è successo niente e poi negli ultimi 25 anni è successo tutto. Tutto quello che ci ha portato, ad oggi a consentire la sopravvivenza di oltre il 90% dei bambini che nascono sotto il chilo e mezzo. Come la storia di Lavinia che abbiamo sentito raccontare. Una storia abbastanza estrema perché la bimba è nata di 23 settimane che è quasi la metà di una gravidanza normale che arriva a 40 settimane".

Corvaglia ha spiegato che la possibilità di far sopravvivere non tutti ma alcuni di questi bambini ("Perché la realtà è questa: c'è ancora da fare, da studiare e andare avanti" ha detto) è legata ad un insieme di cose. Tre in particolare: lo sviluppo tecnologico, certo ("Perché finché non c'è stato lo sviluppo della tecnologia adatta non avevamo nessuna possibilità) ma anche la capacità di lavorare in equipe sempre più specializzate e una concezione nuova che ha come obiettivo quello di "avvicinare uomo e macchina".

"Ormai tutte le terapie intensive neonatali - ha detto il professore - hanno un personale dedicato, non esiste più l'infermiere generico che fa tutto. Sono infermieri che fanno solo quel tipo di lavoro, sono medici che fanno solo quel tipo di lavoro e lavorano in equipe molto strette tra di loro". Il terzo elemento, infine, è "quello di mettere in equilibrio la tecnologia e l'invasività con altre modalità di cure che in qualche modo si prendono in carico anche lo sviluppo del sistema nervoso centrale provando di salvaguardare lo stato di benessere generale del bambino. Perché da questo dipende anche la prognosi. Quindi ambienti adatti, riduzione degli stimoli, attenzione al dolore che viene misurato e curato quotidianamente. Gli infermieri hanno delle scale di misurazione del dolore che applicano almeno tre volte al giorno. Quindi - ha concluso Corvaglia - è una scienza in evoluzione che in questo momento tenta di riavvicinare uomo e macchina che forse è il segreto di tutto. Del successo attuale ed è la direzione in cui stiamo andando".

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