Sul fronte del fine vita e del
suicidio assistito arriva un 'no' perentorio a qualsiasi
provvedimento in materia da parte del presidente della Cei e
Arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Zuppi le cui parole,
riportate da 'il Resto del Carlino' cadono proprio nei giorni
in cui l'Emilia-Romagna ha varato una delibera per consentire ai
malati terminali di porre fine alla propria esistenza in 42
giorni. Un provvedimento avversato dall'opposizione in Regione
che presenterà una risoluzione per un parere dell'Avvocatura di
Stato mentre Forza Italia presenterà un ricorso al Tar.
"Gli impianti giuridici che stabiliscono il diritto alla
morte
sono degli inganni e sono di dubbia validità - osserva il
porporato senza mai citare la delibera emiliano-romagnola - : la
questione non è tanto confessionale quanto laica. L'umanesimo su
cui si basa la nostra società ci porta a concludere che esisterà
sempre e solo un diritto alla cura".
A giudizio di Zuppi "la sofferenza la si affronta
cancellando il dolore e non spegnendo la vita". E in tutto
questo, prosegue, "quello che è decisivo è togliere il dolore
e, allo stesso tempo, garantire un livello di cura alto che si
occupi della condizione del malato e che eviti due rischi:
un'ostinazione irragionevole della terapia come l'accanimento,
che spesso produce una inutile sofferenza, oppure la desistenza,
vale a dire quel lasciar perdere, che potrebbe essere
condizionato dalle convenienze economiche. Questo è
inaccettabile"
Anche perché, osserva il presidente della Cei, "la
malattia non è mai qualcosa di esterno che si impadronisce della
nostra vita: questo ce lo fa credere un'idea del benessere che
ci propone un modello di cui tutti siamo vittime. La vita trova
il suo senso solo se si confronta con la sua fragilità e se si
riscopre vulnerabile. Se questo incontro con il proprio limite
non c'è, si genera un algoritmo pericoloso che stabilisce i
requisiti necessari affinché una vita possa essere vissuta e chi
è fuori da questi requisiti diventerebbe uno scarto".
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