Ha toccato i vertici della pittura del Duecento ma resta senza nome l' artista che ha raccontato San Francesco nella meravigliosa biografia per immagini realizzata a secco in tempi da record tra il 1255 e il 1260 nella navata unica della Basilica Inferiore di Assisi. L' autore di quel capolavoro e delle vetrate nella Basilica Superiore, che con i fondamenti concettuali di Bonaventura da Bagnoregio pose Francesco al centro del progetto che lo indicava come il salvatore della Chiesa e del mondo, fu il protagonista di una svolta radicale che venne oscurata in breve tempo dall' arrivo sulla scena di Cimabue. ''Fu l' ultimo fuoco di artificio dell' eredità bizantina che sarà spazzata via da Giotto'', dice Andrea De Marchi, curatore con Veruska Picchiarelli e Emanuele Zappasodi, della mostra che la Galleria Nazionale dell' Umbria gli dedica dal 10 marzo al 9 giugno, nella ricorrenza degli 800 anni delle stimmate del Santo morto nel 1226. ''L' enigma del Maestro di San Francesco. Lo stil novo del Duecento umbro'' si snoda, appunto, tra il museo del capoluogo e Assisi, riunendo per la prima volta sette delle nove opere attribuite all' artista sconosciuto e altre cinquanta per contestualizzare il racconto, con arrivi di rarità da musei stranieri prestigiosi - Louvre, National Gallery di Londra, Metropolitan Museum di New York, National Gallery di Washington. L' obiettivo è ''accendere i riflettori su un giro di boa fondamentale della storia dell' arte'' e proporre un itinerario nei luoghi in cui operò il pittore - chiamato sul finire dell' 1800 dallo studioso tedesco Henry Thode ''Maestro di'' come accadde per molti altri artisti dell' epoca noti per i soggetti raffigurati ma non identificabili per l' assenza di firma e documentazione.
Punto di partenza e fulcro del percorso è la enorme Croce Dipinta datata 1272, di quasi cinque metri - tra le più grandi con quella di Cimabue mai realizzate in Italia - posta all' ingresso della Gnu di cui ormai rappresenta il simbolo. Un capolavoro mozzafiato per lo splendore dei colori e la bellezza del soggetto, il crocifisso descritto nella sua sofferenza di uomo, il corpo piegato su un lato, con gli occhi chiusi, l' esatto contrario del Cristo trionfante sulla morte, eretto e con gli occhi aperti dell' epoca precedente come quello di San Damiano. La grande Croce, dipinta per la chiesa perugina di San Francesco al Prato, si richiamava al modello realizzato nel 1236 da Giunta Pisano, conservata nel museo della Porziuncola e concessa per l' esposizione con un' altra tavola fondamentale, Francesco tra due angeli, realizzata dal maestro di San Francesco sull' asse di legno sulla quale secondo la tradizione fu appoggiato il corpo morto del Santo. Assisi, dopo la canonizzazione nel 1228 e la posa della prima pietra della basilica due anni dopo, divenne un cantiere internazionale con l' arrivo di artisti francesi e tedeschi. In questo clima effervescente, il Maestro raccontò Francesco dipingendo i momenti salienti della sua vita su un lato della navata in dialogo con le scene della vita di Gesù sul lato opposto, appunto per rafforzare l' idea che il santo povero fosse il Nuovo Cristo, anche in virtù delle stimmate ricevute. Le scene erano un tripudio di colori e decorazioni fino ai piccoli specchi disseminati nel blu della intera volta per simulare, illuminate dalle fiaccole, le stelle nella notte. Tinte oggi sbiadite che rendono solo lontanamente l'idea dello sfarzo pensato per l' epoca. Nel 2016 un ospite 'speciale' in visita alla Galleria Nazionale dell' Umbria davanti al grande Crocifisso del Maestro di San Francesco riassunse in una sola frase la chiave di lettura della mostra che sta per aprirsi: ''Qui c' è Giunta Pisano ma non c'è ancora Cimabue''. Non era il parere di uno storico dell' arte di lungo corso ma il commento ammirato del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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