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L'enigma della Rocca di Sassocorvaro, capolavoro difensivo

L'enigma della Rocca di Sassocorvaro, capolavoro difensivo

Ospitò 10mila opere d'arte sottratte alle mani dei nazisti

PESARO URBINO, 23 maggio 2024, 13:10

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

Un monumento quattrocentesco singolare e misterioso che unisce alla genialità architettonica militare dell'architetto Francesco di Giorgio Martini l'enigmaticità di un percorso iniziatico voluto dal misconosciuto fratello di Federico da Montefeltro, Ottaviano Ubaldini, filosofo, mago e alchimista, vissuto dal 1442 al 1447 alla corte di Filippo Maria Visconti e amico di Pisanello e dell'umanista Francesco Filelfo.
    È la Rocca Ubaldinesca di Sassocorvaro, nell'omonimo borgo in provincia di Pesaro-Urbino, che sovrasta il fiume Foglia e che fu scelta tra il 1940 e il 1945 dall'allora soprintendente delle Marche Pasquale Rotondi per salvare dalla guerra e dai nazisti quasi 10mila opere d'arte d'inestimabile valore. Tra queste la 'Tempesta' di Giorgione, assieme a dipinti di Tiziano, Tintoretto e Piero della Francesca.
    Un edificio, unico nel suo genere, tanto da essere scelto pochi giorni fa dalla sezione Marche dell'Istituto italiano dei Castelli come luogo per celebrare i 60 anni di attività con una visita e un convegno in cui la storica dell'Architettura del Politecnico di Torino Valentina Burgassi ha evidenziato come la fortezza priva di merli e beccatelli, e dalla forma circolare di per sé perfetta per le teorie umaniste dell'epoca, dovesse avere anche una funzione abitativa.
    A volerla così, Arx e Domus, secondo un testo edito dalla Pro Loco a cura di Silvano Tiberi, da trent'anni studioso della Rocca, e intitolato 'Il Libro di Pietra', fu soprattutto Ottaviano, figlio, come Federico, di Bernardino Ubaldini della Carda e di Aura, figlia del Conte Guidantonio da Montefeltro.
    Quest'ultimo infatti, non avendo eredi maschi, lasciò il Ducato al nipote Federico che lo condivise col fratello in un perfetto accordo che vede i due in un bassorilievo ritratti alla pari.
    Ottaviano in umili vesti con a fianco due libri, uno chiuso simbolo del sapere degli iniziati e uno aperto accessibile a tutti, e Federico con un'armatura.
    Una 'diarchia' che si esprime anche nell'architettura. Le forme tondeggianti sarebbero servite infatti a far rimbalzare i colpi della nuova 'diabolica invenzione': la bombarda (non senza un precauzionale scheletro di legno posto tra i mattoni dell'edificio come si fa col cemento armato), ma anche a circoscrivere una pianta a forma di tartaruga con scale e stanze che rimanderebbero ad un percorso esoterico dalle tenebre dell'ignoranza alla luce del sapere.
    La testuggine è stata infatti associata fin dall'antichità alla prudenza ('Festina Lente', ovvero affrettati ma con cautela) e nella tradizione indù viene raffigurata come piedistallo del mondo. Inoltre per i filosofi ermetici è l'emblema dell'alchimia per la sua corazza, che se si riesce a penetrare dopo un lungo e faticoso procedimento abbinabile a quello d'estrazione della pietra filosofale, conduce alla conoscenza profonda.
    Dunque la Rocca non è solo una 'domus', ma una dimora dello spirito, e l'immagine di un manoscritto del '700 che raffigura l'aquila (emblema di Federico) appoggiata su una tartaruga (simbolo di Ottaviano) espliciterebbe non solo l'armonia tra i due principi, ma anche chi dei due 'umilmente' sostiene l'altro.
    Ma gli indizi, gli unici a guidare questa ricerca, secondo Tiberi, in assenza di una documentazione che non sia la Rocca stessa, ovvero 'il libro di pietra', non si fermerebbero qui.
    Infatti i due piani della fortezza hanno 12 porte intese nella cultura ermetica come altrettanti ostacoli da superare, sei nella zona inferiore (Il mondo terreno) e sei in quella superiore (Il mondo celeste), a scandire un percorso fatto di bivi e scale a destra e sinistra che confluiscono prima nel Salone Maggiore (trasformato nell'ottocento in un delizioso teatrino), dove l'iniziato avrebbe dimostrato la sua trasmutazione interiore, e infine nella Cappella, luogo di raccordo tra umano e divino.
    A segnalare il 'viaggio' ci sarebbero innumerevoli codici e simboli scolpiti tra cui nel camino della saletta a sinistra della Cappella la rarità di tre 'Green Man' (uomo verde), con espressioni diverse, ognuno dei quali rappresenta un volto umano circondato da foglie, che nella tradizione celtica simboleggia la rinascita della vita e quindi dell'uomo.
   

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