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Felici o tristi, nel cervello il circuito che riconosce le emozioni

Felici o tristi, nel cervello il circuito che riconosce le emozioni

Potrebbe portare a nuove terapie contro schizofrenia e autismo

20 maggio 2024, 15:03

di Benedetta Bianco

ANSACheck

Scoperto il circuito cererale che permette di riconoscere le emozioni (fonte: Kateryna Kovarzh, iStock) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Felici o tristi, sorpresi o arrabbiati: nel cervello c'è un circuito che permette di riconoscere le emozioni degli altri. E' una capacità fondamentale sia per gli animali che per gli esseri umani perché permette di interagire con i propri simili e aumentare le probabilità di sopravvivenza. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Neuroscience, si deve al gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, con la collaborazione dell’Iit di Rovereto e dell’Università di Catania. Lo studio potrebbe aiutare a capire perché, in condizioni come autismo o schizofrenia, tale capacità è alterata e potrebbe gettare le basi per nuove terapie.

Malgrado l’importanza della capacità di capire le emozioni altrui, i meccanismi cerebrali con cui ciò avviene restano per lo più sconosciuti. Ecco perché i ricercatori coordinati da Francesco Papaleo hanno cercato di fare un po’ di luce su questo mistero, scoprendo un circuito mai studiato costituito da un gruppo di neuroni che collega due aree del cervello piuttosto distanti tra loro, la corteccia prefrontale e la corteccia retrospleniale. Il ruolo fondamentale di questa connessione è stata poi dimostrata con un esperimento che ha coinvolto più di 1.000 partecipanti.

“Siamo entusiasti dei risultati ottenuti perché costituiscono un primo passo verso la comprensione dei differenti circuiti cerebrali con cui il nostro cervello riesce a codificare e farci reagire alle emozioni altrui. Vorremmo avere una visione più ampia del funzionamento di questi meccanismi anche per capire come siano alterati in patologie psichiatriche e del neurosviluppo”, afferma Papaleo. “Attualmente i farmaci assunti per il trattamento di queste condizioni non sono selettivi, interessando molti tipi di neuroni senza fare distinzione – aggiunge Anna Monai, prima firmataria dello studio insieme a Daniel Dautan – quindi l’idea è quella di sviluppare terapie mirate, in modo da diminuire gli effetti collaterali aumentando l’efficacia del trattamento”.

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