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Tumore delle vie biliari, terapia aumenta la sopravvivenza a 3 anni

Tumore delle vie biliari, terapia aumenta la sopravvivenza a 3 anni

Immunoterapia più chemioterapia raddoppia il tasso a lungo termine

ROMA, 23 aprile 2024, 15:11

Redazione ANSA

ANSACheck

Immunoterapia - RIPRODUZIONE RISERVATA

I risultati dello studio di Fase III TOPAZ-1 dimostrano che il farmaco immunoterapico durvalumab in combinazione con la chemioterapia ha prodotto un beneficio clinicamente significativo di sopravvivenza globale a lungo termine a tre anni nei pazienti con tumore delle vie biliari avanzato.
    I risultati dello studio, che rappresentano il più esteso follow-up di sopravvivenza mai riportato in uno studio globale randomizzato di Fase III in questo setting, sono stati presentati nel corso della Cholangiocarcinoma Foundation Conference 2024 a Salt Lake City in Usa.
    A più di tre anni, i risultati dimostrano che durvalumab più chemioterapia ha ridotto il rischio di morte del 26% rispetto alla sola chemioterapia.
    Più del doppio dei pazienti con il regime a base di durvalumab era vivo a tre anni rispetto alla sola chemioterapia (14,6% rispetto a 6,9%).
    "Il tumore delle vie biliari è una patologia rara ma in costante crescita, con circa 5.400 nuovi casi stimati ogni anno in Italia - spiega Carmine Pinto, Direttore dell'Oncologia Medica del Comprehensive Cancer Centre, AUSL-IRCCS di Reggio Emilia -. Non esistono test di screening o esami diagnostici di routine in grado di identificare la malattia in fase iniziale, quando è ancora possibile un'asportazione chirurgica. Le difficoltà legate alla mancanza di sintomi specifici conducono troppo spesso a diagnosi in fase avanzata. Solo circa il 30% dei pazienti è candidato alla chirurgia. Per i pazienti con malattia avanzata, che non possono essere operati o con metastasi, oggi abbiamo una nuova possibilità terapeutica: combinare l'immunoterapia con durvalumab alla chemioterapia con cisplatino e gemcitabina, che ha rappresentato il regime utilizzato da oltre un decennio. I dati aggiornati dello studio TOPAZ-1, con un più lungo follow-up, mostrano a 3 anni una riduzione del 26% del rischio di morte per i pazienti con tumore delle vie biliari in stadio avanzato trattati con durvalumab e chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia, con il doppio dei pazienti viventi. Un progresso particolarmente significativo in un setting di patologia neoplastica in cui la prognosi è storicamente sfavorevole. Questi risultati rafforzano il beneficio a lungo termine della combinazione comprendente l'immunoterapia come standard di cura in prima linea per i pazienti con malattia avanzata. Dopo oltre un decennio senza reali progressi, anche per i pazienti con tumori delle vie biliari abbiamo un miglioramento in termini di possibilità di sopravvivenza, un risultato molto importante mai ottenuto finora".
    "Il miglioramento portato dal durvalumab nei dati di sopravvivenza a tre anni in pazienti con tumore delle vie biliari avanzato è una buona notizia - afferma Paolo Leonardi, Presidente Associazione Pazienti Italiani Colangiocarcinoma (APIC) - e un risultato che accresce la speranza nella ricerca delle cure per i pazienti con questi tumori rari e difficili da trattare. Il percorso che porta alla diagnosi è troppo spesso tardivo, rendendo ancor più drammatica la vita delle persone che la ricevono. Due cose ci sembrano fondamentali: che si diffonda la conoscenza della malattia, così che si arrivi a sospettarla prima, e che chi ha una diagnosi di colangiocarcinoma sia indirizzato precocemente a centri di riferimento, dove è possibile una presa in carico completa da parte di un team multidisciplinare dedicato, in grado di definire al meglio il percorso diagnostico e terapeutico".
    Il tumore delle vie biliari (BTC) è un gruppo di tumori gastrointestinali (GI) raro e aggressivo che si forma nelle cellule delle vie biliari (colangiocarcinoma), cistifellea o ampolla di Vater (la sede in cui i dotti biliare e pancreatico si collegano all'intestino tenue). Circa 50.000 persone negli Stati Uniti, Europa e Giappone, e 210.000 a livello mondiale presentano una diagnosi di BTC ogni anno. 
   

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