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Dalle biglie al Subbuteo sei giochi che hai nel cuore

Dalle biglie al Subbuteo sei giochi che hai nel cuore

Creazioni geniali e passatempi antichi raccontano storie bellissime

26 novembre 2017, 23:09

Redazione ANSA

ANSACheck

si gioca con le biglie foto Antonio_Diaz iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

si gioca con le biglie foto Antonio_Diaz iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA
si gioca con le biglie foto Antonio_Diaz iStock. - RIPRODUZIONE RISERVATA

Certi giochi hanno millenni di storia alle spalle e sono ancora appassionanti perché, viaggiando nel tempo e nello spazio, si sono man mano adattati ai gusti dei giocatori. Altri sono nati solo di recente, a opera di geniali autori che hanno fatto divertire milioni di persone, anche se nessuno o quasi ne conosce il nome: e magari alcune di queste creazioni, nella loro semplicità, sembrano passatempi antichi che esistono da sempre. Indagare la storia dei giochi è senza dubbio divertente: abbondano fatti sorprendenti e colpi di scena. È anche una ricerca molto istruttiva: rintracciando le origini degli scacchi e del mercante in fiera, del Monopoly e del cruciverba, incontriamo personaggi famosi e grandi eventi storici di cui possiamo imparare qualche aspetto meno noto. Inoltre, i giochi ci insegnano molte cose su chi li pratica: possiamo davvero dire di conoscere meglio i popoli antichi e gli abitanti di altri continenti se scopriamo di più sul loro modo di giocare.

Ecco da Storie di giochi, la guida di Andrea Angiolino, con oltre 60 disegni di Alessandro Sanna (Gallucci editore) che comprende 114 voci in cui l'esperto e lui stesso inventore di giochi, racconta le origini e la diffusione di altrettanti qui in Italia e nel mondo 6 esempi.

Acchiapparella Giocare a rincorrersi è uno dei divertimenti più vecchi del mondo. Già nell’antica Grecia questo passatempo aveva regole precise e un nome: gioco di Empusa. Uno dei partecipanti correva dietro agli altri: se riusciva a toccare qualcuno con la punta di un bastoncino o con la manica del vestito, i due si scambiavano di ruolo e la corsa ricominciava. Le Empuse erano mostri al servizio della dea Ecate, loro madre. Assumevano forme umane, ma non del tutto. Nel loro corpo restava sempre qualche dettaglio mostruoso come, ricorda Aristofane, un piede di bronzo e uno così coperto di sterco che non si capiva più se fosse umano o asinino. Ingannavano i viaggiatori, catturandoli e portandoli negli Inferi. Il bastoncino dei giocatori rappresentava la fiaccola con cui esse si addentravano nelle profondità infernali. Le mamme greche usavano le Empuse per spaventare i bambini disubbidienti: «Se non fai il bravo, viene l’Empusa e ti porta via». Ma i monelli di allora irridevano i rimproveri materni, parodiandoli nel gioco.

L’allegro chirurgo Nel 1964 John Spinello studiava design industriale all’Università dell’Illinois. Come compito a casa inventò un gioco in cui una bacchetta di metallo andava inserita nei buchi di una scatola senza toccarne i bordi, altrimenti una suoneria emetteva un fastidioso Buzz! Lungo un lato della scatola correva una scanalatura zigzagante: andava percorsa tutta con la bacchetta, anche in questo caso senza toccare i bordi. Il gioco era letteralmente elettrizzante e nella sua esercitazione Spinello prese “A”, il miglior voto possibile. John portò il suo nuovo gioco a casa e cominciò a sfidare amici e parenti. Uno di loro lo mise in contatto con Marvin Glass, affermato progettista di giocattoli e giochi, che ricevette il giovane inventore. A guardare l’anonima scatola metallica Glass non fu impressionato, ma poi giocò e si entusiasmò anche lui. Offrì a Spinello cinquecento dollari per i diritti di sfruttamento della sua invenzione e il ragazzo accettò contento. Glass rese il gioco assai più attraente aggiungendo l’ambientazione: un’operazione chirurgica. A turno i giocatori usano un paio di pinzette per estrarre dai buchi sagomati nel corpo del paziente alcuni oggetti di varia forma: una chiave inglese dalla caviglia slogata, un cuore infranto dal torace, una matita dal polso a rappresentare il crampo dello scrittore. Nel 1965 la Milton Bradley lanciò il gioco con il nome di Operation: diventò subito un bestseller. Ancora oggi è nel catalogo della Hasbro, il gruppo in cui è confluita la Milton Bradley. Spinello, che ha ceduto ogni diritto, non ha guadagnato nulla delle decine di milioni di dollari fruttati dalla sua idea. Almeno una piccola parte gli avrebbe fatto comodo nel 2014 quando, per una crudele ironia della sorte, ha dovuto affrontare un’operazione chirurgica senza avere i 25mila dollari necessari. Per fortuna alcuni autori di giochi hanno organizzato una colletta e raccolto tra il pubblico ben più del necessario. Ha contribuito la stessa Hasbro, acquistando per una cifra sostanziosa il prototipo originale del gioco, che ha poi messo in mostra nella sua sede centrale.

Battaglia navale C’è chi dice che il gioco della battaglia navale sia stato inventato durante la Prima guerra mondiale in Francia col nome di L’Attaque. Fonti statunitensi citano un certo Clifford Van Wickler o Von Wickler, che lo avrebbe ideato dalle loro parti intorno al 1900, senza brevettarlo. Altri dicono invece che questo passatempo sia nato in Russia, più o meno negli stessi tempi. Se il luogo di nascita è incerto, infatti, sul periodo ci sono pochi dubbi. Fino all’inizio del Novecento le battaglie navali erano movimentati scontri fra schieramenti di vascelli che cercavano di manovrare per inquadrare il nemico a raggio corto con i propri cannoni, e talvolta arrembarlo o speronarlo. Ma nel 1903 l’italiano Vittorio Cuniberti teorizzò potenti corazzate in grado di distruggere le navi nemiche restandosene a distanza, e pochi anni dopo la sua intuizione fu realizzata dalla Royal Navy inglese. Già nella battaglia di Tsushima tra russi e giapponesi, il 14 e il 15 maggio 1905, le cannonate piombavano sul nemico dall’alto, da una decina di chilometri e oltre. Le navi, ormai, si sfidavano da lontano. Il gioco della battaglia navale riflette esattamente questa nuova situazione. Ogni giocatore sistema le sue navi su un pezzo di carta quadrettata e gli avversari si cannoneggiano da lontano restando ai lati opposti del tavolo. O magari, a scuola, in banchi diversi. In Italia, ricordava Giovanni Gandini, la battaglia navale fu presentata dal settimanale “La Domenica del Corriere” sul terzo numero del 1932, datato 17 gennaio, come un passatempo tipicamente americano. In effetti, sin dagli Anni Trenta del XX secolo negli Stati Uniti si sono venduti blocchetti prestampati per questo gioco, chiamato di volta in volta Salvo, Broadsides, Combat. La Signal Oil Company li utilizzò come gadget per chi faceva il pieno da loro, durante la Seconda guerra mondiale. Poi smise, per inviarli tutti ai soldati al fronte perché si distraessero con battaglie di carta. Sono poi arrivate versioni con tavoliere e pedine, e persino elettroniche. Ignorando le versioni commerciali, i ragazzini di tutto il mondo continuano a giocare con passione strappando foglietti da quaderni e bloc notes, con il solo ausilio di una penna. 

Biglie Da sempre si fanno giochi con oggettini che rotolano: sassolini, noci, semi, nocciole, olive... Ai bambini di qualche secolo fa hanno dato grande soddisfazione, dopo l’invenzione delle armi da fuoco, le pallottole di archibugio trovate nei campi di battaglia. In tempi più recenti, chi conosceva meccanici compiacenti poteva ottenere dai cuscinetti a sfera per camion biglie d’acciaio assai apprezzate. Fin dall’antichità si producono biglie fatte appositamente per giocare: se ne sono ritrovate persino nelle tombe egizie. Nel Medioevo prevalevano quelle d’argilla, ma i ricchi ne procuravano ai loro figli in oro e in argento. A Venezia, narra il Roberti, il severo Bragadin vide per strada il figlio di un noto mercante che giocava con biglie rilucenti. Chiese di cosa fossero fatte: «D’oro» fu la risposta. «Se tuo padre ha dell’oro in più da sperperare per i tuoi svaghi, può ben darlo alla Repubblica» rispose il magistrato. E fece alzare a tal punto le tasse al mercante che questi fuggì da Venezia. Nel XVII secolo, in Germania, si cominciò a fabbricare biglie in serie, in vari tipi di pietra, grazie all’energia dei mulini ad acqua che consentiva di produrne anche ottocento all’ora. Ancora oggi se ne fanno di tanti tipi e di molte misure: in metallo, pietra, marmo, terracotta... In Italia le più diffuse sono in vetro, forse d’invenzione veneziana, spesso con strisce colorate all’interno, usate per giochi di precisione come il battimuro. Oppure in plastica, mezze trasparenti e con dentro la foto di un ciclista o di un altro personaggio, adatte alla pista delle biglie. Quest’ultima è una gara che si effettua tradizionalmente sulle spiagge, dopo aver tracciato il percorso nella sabbia. Le regole evocano quelle di una vera competizione ciclistica: chi esce di pista ha “forato” e torna indietro al punto da cui aveva tirato. Per oltre metà del XX secolo i ragazzini hanno trovato biglie anche sulle gazzose. Spinte dalla pressione interna, le biglie bloccavano il collo delle bottigliette: andavano schiacciate giù col dito, liberando parte del gas, poi cadevano dentro e si poteva bere. Rotta la bottiglietta, si potevano recuperare e usare per i giochi, sempre che non ci fosse da restituire il vuoto per avere indietro la piccola 17 cauzione. Il sistema si deve all’ingegnere inglese Hiram Codd. Dagli Anni Venti si usano i tappi a corona: i bambini si ingegnano a giocare con quelli, talvolta anche a giochi analoghi. Incollandovi dentro le foto di ciclisti, giocano per esempio a ciclotappo. È giocando con biglie colorate che nel 1965 Mordekay Meirovitz ebbe l’idea del fortunatissimo Master Mind.

Calcio balilla Chiamato anche calcino, calcetto, biliardino e in tanti altri modi, il calcio balilla è un’attrazione tipica di bar, stabilimenti balneari e altri luoghi pubblici. Calciatori in miniatura ruotano colpendo una pallina e scagliandola verso la porta avversaria. Di norma, per giocare occorre inserire un apposito gettone o una moneta che libera ben dieci palline, ma non mancano versioni da casa. L’origine del calcio balilla è contesa da più nazioni. Il primo brevetto per il gioco nella forma attuale è inglese e fu depositato nel 1922 dal tifoso Harold Searles Thornton che, di ritorno da una partita del Tottenham, lo costruì in piccolo infilando alcuni fiammiferi attraverso la loro scatolina. I francesi citano diversi possibili inventori, tutti della loro nazionalità, tra i quali l’operaio della Citroën Lucien Rosengart che, moderno Palamede, è autore di tante altre invenzioni in campo ciclistico, ferroviario e balistico. Secondo i tedeschi l’ideatore sarebbe invece Broto Wachter, che nel 1931 ne realizzò esemplari senza le sagome dei calciatori. Negli Stati Uniti i primi calcio balilla arrivarono proprio dalla Germania. Per gli spagnoli l’eroe del caso è Alexandre Campos Ramírez, in arte Alejandro Fisterre. Poeta, editore e ballerino dalla vita avventurosa, aveva 17 anni quando fu ferito a una gamba in un bombardamento durante la Guerra civile spagnola. Nel novembre 1936 Ramírez si ritrovò in ospedale insieme a mutilati e invalidi di guerra. Per consentire anche a loro di giocare, si ispirò al ping pong, che portava il tennis su un tavolo, e propose un calcio da tavola che fece realizzare all’amico falegname Francisco Javier Altuna. Nel gennaio del 1937, a Barcellona, Finisterre brevettò il fusbalin, ma quando alla fine della guerra scappò in Francia attraverso i Pirenei, i fogli del brevetto si disfecero irrimediabilmente sotto una pioggia torrenziale. Nei primi Anni Cinquanta Finisterre fu fabbricante di giocattoli in Guatemala, nazione democratica dove la Repubblica spagnola sconfitta dai franchisti aveva persino un’ambasciata. Prima che il Colpo di Stato del 1954 la chiudesse e portasse all’arresto di Finisterre, questi fece in tempo a giocare a fusbalin con Ernesto Che Guevara. La federazione internazionale ha decretato l’origine centroeuropea del calcio balilla, ma la federazione spagnola rivendica a Finisterre almeno l’invenzione della versione in cui i calciatorini hanno gambe separate. In Italia i primi esemplari artigianali furono costruiti a Poggibonsi nel 1936. Una produzione regolare si ebbe 23 solo dopo che il marsigliese Marcel Zosso raggiunse Alessandria, in cerca di qualcuno che potesse produrne la versione ideale che lui aveva in mente. Lo trovò in Renato Garlando, che dirigeva la falegnameria di famiglia a Spinetta Marengo. Il successo fu immediato. Dal 1951 al 1954 la Garlando fabbricò 12mila calcio balilla, metà affittati e metà venduti, ricorrendo anche all’impiego di detenuti perché i suoi operai non riuscivano a star dietro alle richieste. In quegli anni è ambientato il film Il postino (Michael Radford e Massimo Troisi, Spagna-Italia-Regno Unito 1994): il protagonista Mario si innamora dell’avvenente Beatrice quando, nell’osteria del paese, lei lo sfida in una muta partita a calcio balilla. Fu la Garlando a diffondere il nome calcio balilla, inserito nei dizionari dal 1952. In zona si sentiva l’influenza della vicina Genova, patria del giovanissimo Balilla che nel Settecento aveva scatenato la rivolta antiaustriaca: “balilla” vale per “piccolo”, come erano piccine la Fiat 508 Balilla e la radio Balilla degli Anni Trenta. Ma anche il biplano A.1 Balilla, prodotto dalla genovese Ansaldo nel 1918, ben più ridotto degli Ansaldo SVA a bordo dei quali d’Annunzio violò i cieli di Vienna. L’uso del termine non avrebbe quindi connotati politici: precede l’Opera Nazionale Balilla, da cui sono passati a forza tutti i figli d’Italia durante il ventennio fascista. 

Subbuteo Ai bambini e ai ragazzi piace simulare la realtà, nei loro giochi. Con un po’ di fantasia una manciata di monetine, bottoni, fiches o tappi può diventare una squadra di calcio da spingere a colpi di dito verso una “palla” qualsiasi: un bottone di colore diverso, una fiche più piccola, una pallottolina di carta stagnola. Lo scopo è mandarla dentro una “porta” delimitata sull’altro lato del tavolo. Di questo gioco spontaneo, come di molti altri della tradizione, nel XX secolo si fecero versioni in scatola. Nel 1929 apparve il New Footy, prodotto artigianalmente da Will L. Keeling che lo aveva messo a punto negli anni precedenti per divertire i nipoti. Calciatori di carta sono inseriti in basette di piombo, le porte sono in fil di ferro. Il campo da calcio fu fornito solo anni dopo, nella più grande tra le confezioni deluxe: chi acquistava le versioni più economiche vi trovava invece un gessetto corredato da istruzioni per disegnarselo su un pezzo di stoffa, usando un disco musicale per il cerchio del centrocampo. Nel 1947 apparve il Subbuteo, anch’esso produzione artigianale, con calciatori di carta da ritagliare e un gessetto per disegnare il campo: si consigliava di usare la coperta che il governo britannico aveva dato in dotazione a ogni famiglia per difendersi dal freddo nei rifugi antiaerei, durante la Seconda guerra mondiale. Lo slogan diceva: “Niente influenze magnetiche, dadi né soffi” per distinguersi da altri giochi del calcio in cui occorreva spingere la pallina senza toccarla soffiando in una cannuccia o muovere i calciatori con calamite. Ad auto-produrre il Subbuteo fu Peter Adolph, un ornitologo, il cui commercio di uova d’uccello subiva un calo in inverno: volle quindi fabbricare un gioco da tavolo, passatempo adatto ai mesi freddi in cui si resta chiusi in casa. Il nome viene dal Falco Subbuteo: in inglese questo predatore si chiama hobby, vocabolo che indica pure la passione a cui si dedi137 ca il proprio tempo libero. Quindi, con un gioco di parole un po’ contorto, il Subbuteo è l’hobby per eccellenza. Il Subbuteo si contraddistingue per le piccole basi arrotondate, che consentono ai calciatori di ondeggiare e seguire traiettorie curve, eseguendo colpi a effetto: probabilmente fu questo a regalargli una popolarità assai superiore a quella del New Footy. In seguito i calciatori diventarono di celluloide, sempre piatti, e poi tridimensionali e di plastica come pacifici soldatini. Il successo fu tale da portare a calciatorini accuratamente dipinti con maglie, calzoncini e calzettoni di innumerevoli squadre locali e nazionali. Apparvero anche accessori con troupe televisive, poliziotti a bordo campo, gradinate e fari: non sono necessari per giocare, e anzi intralciano, ma fanno molta scena. In Italia il gioco andò fortissimo, grazie anche al lavoro dell’importatore genovese Edilio Parodi. Per questo le squadre italiane sono particolarmente rappresentate nelle confezioni in commercio. Un italiano, Stefano Beverini, ha inventato anche un modo per far scorrere meglio i figurini sul campo: ha spruzzato le basette con la cera per mobili, e anche grazie a questa innovazione l’Italia ha trionfato nei mondiali di Subbuteo del 1982 a Barcellona, un mese prima che la Nazionale azzurra di calcio conquistasse il titolo di Campione del mondo nei veri stadi spagnoli. Nel 1996 il gruppo Hasbro ha acquistato i diritti del Subbuteo: lo ha riproposto con basi ancora più arrotondate e agili, che rendono di colpo obsolete tutte le squadre precedentemente acquistate dagli appassionati. Il gioco entra ed esce dal catalogo: nel 1997, comunque, la ditta Parodi se ne è assicurata i diritti e SUBBUTEO 138 lo vende in parallelo con una propria edizione chiamata Zëugo. Che in genovese significa gioco: per chi se n’è innamorato, il Subbuteo è infatti spesso il gioco per eccellenza. O l’hobby del cuore, se preferisci.

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