Montagne di vestiti ricoprono il deserto di Atacama, in Cile, mentre i rifiuti della fast fashion sommergono il Ghana. Nel frattempo, il dramma dello sfruttamento della manodopera in Bangladesh e non solo. L'industria della moda "non ha mai vissuto la rivoluzione copernicana: pensa che tutto l'universo le graviti attorno", scrive Matteo Ward nel suo saggio Fuorimoda!, presentato sabato 7 settembre al Festivaletteratura di Mantova. Un libro in cui riflette - partendo dalla propria esperienza nel settore - sull'insostenibilità del mondo del fashion e sui suoi effetti su ambiente e persone.
Questo perché, come racconta il co-fondatore della società benefit Wråd e autore della docuserie Junk - Armadi pieni prodotta da Will Media e Sky Italia, la moda "estrae valore da due orbite: natura e società". Ma non ne restituisce altrettanto. Anche se produce vestiti, lavoro, benessere, lo fa in modo iniquo. Ci sono troppi abiti in commercio rispetto all'effettivo bisogno, le persone sono retribuite male laddove si produce e molto meglio nei posti in cui si decide, mentre la salute non è tutelata negli ambienti produttivi, per non parlare chiaramente degli effetti dei tessuti che indossiamo sulla pelle. L'ambiente in tutto questo piange, e campi che potrebbero essere utilizzati per coltivare gli alimenti di cui c'è tanto bisogno vengono impiegati per la produzione di fibre tessili.
"Gli ingredienti di una maglietta non sono poi tanto diversi dagli ingredienti che servono per fare, per esempio, il pane - scrive Ward - Vengono dalle stesse fonti essenziali. Ma con una differenza: se il pane serve a sfamarci e a soddisfare un bisogno vitale, la t-shirt, invece, in queste quantità e qualità non è essenziale".
Ward divide il proprio saggio in due sezioni che definisce una "pars destruens" e una "pars costruens". Nella prima racconta i momenti che hanno segnato la presa di coscienza collettiva sul problema del sistema moda, nella seconda ragiona sulle possibili soluzioni. In testa al libro, dopo la prefazione di Sara Sozzani Maino, c'è una bella conversazione con il maestro Michelangelo Pistoletto, che già nel '67 anticipò la discussione sui problemi del mondo della moda con la sua Venere degli stracci.
È una rivoluzione, quella auspicata dall'autore, che ci coinvolge personalmente attraverso le nostre scelte, ma richiede anche un'azione da parte dell'industria della moda e della politica. Proprio per questo Fuorimoda! diventa un manifesto di "Cosa dovremmo chiedere ai brand" e cosa "alla politica", con tanto di elenchi numerati. Ma è anche una guida alla comprensione di un problema che riguarda tutti e su cui nessuno sa esattamente come agire, in un mondo in cui le t-shirt etichettate 'sostenibili' non lo sono poi davvero.
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