Dallo scavo agli studi fino al museo
o al parco archeologico. Un modello italiano per la ricerca
archeologica esiste ed è proprio nella capacità dei nostri
studiosi di seguire e di occuparsi dell'intera filiera. Ne è
convinto Daniele Morandi Bonacossi, ordinario di Archeologia e
Storia dell'Arte del Vicino Oriente Antico dell'università di
Udine, e direttore della Missione archeologica italiana nel
Kurdistan iracheno dove nel nel sito di Faida, a 50 km da Mosul,
sono stati scoperti nel 2019 tredici monumentali rilievi che
rappresentano il sovrano in preghiera di fronte alle immagini
delle sette divinità principali del pantheon assiro.
"Molto spesso nel passato, ma è una prassi anche per alcune
missioni archeologiche straniere, ci si limitava a fare lo
scavo, per poi studiarlo e pubblicarlo, presentarlo ai convegni.
La via italiana è invece una via più ampia, più articolata, che
non si limita alla ricerca scientifica, ma pensa anche alla
protezione, la conservazione, la valorizzazione del patrimonio
archeologico e quindi alla restituzione alla comunità di questi
beni attraverso musei e parchi archeologici". Insomma gli
italiani sono soliti farsi carico del patrimonio culturale che
scoprono e studiano anche per proteggerlo e conservarlo. La
firma italiana è qui, nel coprire l'intera filiera dalla ricerca
alla conservazione, protezione e valorizzazione"
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