I crimini contro la natura sono la
quarta attività criminale più redditizia al mondo: preceduti
esclusivamente dal traffico di droga, dalla contraffazione e dal
contrabbando di armi: generano entrate per 280 miliardi di
dollari l'anno e costituiscono un settore della criminalità in
crescita. I dati sono emersi a Roma alla prima giornata di un
workshop del Wwf sui crimini contro la natura.
L'Italia è un crocevia fondamentale del traffico di specie
protette e, in generale, dei crimini contro la fauna selvatica.
Le sanzioni comminate dai Carabinieri ammontavano nel 2018 a
oltre 5 milioni e mezzo di euro (oltre 1 milione nel 2020). Tra
il 2016 e il 2019 la Regione in cui sono stati denunciati più
illeciti è la Lombardia con 5.256 denunce, seguita dal Veneto
con 2.526 e dalla Toscana, con 2.247 denunce.
Dal nord al sud del nostro Paese non c'è regione che non sia
esente dai crimini di natura: i bracconieri puntano su
passeriformi, aquile e falchi, ungulati, anatidi, uccelli
limicoli, ghiri, anguille, lupi, orsi. In mare si si fa incetta
di ricci di mare, datteri, pesce spada sotto taglia, squali,
oloturie, coralli, bianchetti e tartarughe marine. Non si
risparmiano nemmeno le specie vegetali protette, come le radici
della genziana lutea, ricercata per farne liquori.
In Italia tra il 41 e il 46% degli illeciti vengono
archiviati prima del dibattimento, e fra il 38-50% vanno in
prescrizione. Solo il 27% degli illeciti di natura arriva a
condanna. Non esiste una banca dati centralizzata sui crimini di
natura. Chi uccide una specie protetta può cancellare dalla
fedina penale il proprio crimine con soli 1.000 euro, e le
sanzioni per i crimini contro gli animali selvatici sono
bassissime. Due terzi degli agenti deputati alla vigilanza su
questi crimini sono volontari.
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