di Stefano Secondino
Spingere sulle rinnovabili nonostante
la crisi energetica e la tentazione di puntare sul gas; varare
finalmente i due fondi internazionali di aiuti ai paesi poveri
per il clima; cominciare ad ampliare le aree protette, per
arrivare al 30% di terra e mare tutelati al 2030. Sono le tre
grandi sfide ambientali per il 2023.
Quella delle rinnovabili è la più grande. Alla Cop27 di Sharm
el-Sheikh a novembre scorso, tutti i paesi del mondo hanno
confermato l'impegno a tenere il riscaldamento globale entro 1,5
gradi di aumento dai livelli pre-industriali. Un impegno che era
stato preso alla Cop26 di Glasgow nel 2021, e che riprendeva
l'obiettivo più ambizioso dell'Accordo di Parigi sul clima.
Il problema è che nel frattempo è scoppiata la crisi
energetica, e questa ha scombussolato tutti i piani. Dopo
lunghissime trattative, a Sharm si è deciso di mantenere
comunque il target di 1,5 gradi evitando accuratamente di dare
prescrizioni su come arrivarci. In sostanza, si è lasciata mano
libera agli stati sulle politiche energetiche.
I paesi ricchi del G7 e quelli emergenti come Cina e India
hanno cominciato una corsa per accaparrarsi tutto il metano che
c'è sul mercato, hanno ripreso a bruciare carbone, e spendono
miliardi di dollari per calmierare le bollette delle loro
imprese e dei loro cittadini. In questo quadro, gli investimenti
per decarbonizzare le economie e centrare gli obiettivi di
Parigi e Glasgow rischiano di passare in cavalleria, di essere
visti come un lusso che per ora non ci si può permettere.
Ma la crisi energetica ha anche un effetto opposto. Quando
il prezzo del gas sale alle stelle ed espone gli stati alla
dipendenza da altri stati, spesso inaffidabili, le fonti
rinnovabili diventano un formidabile strumento di politica
energetica. Eolico, solare e tutte le altre garantiscono prezzi
bassi della corrente e indipendenza dall'estero. L'Agenzia
internazionale per l'energia (Iea) prevede che nel quinquiennio
2022-2027 saranno installati nel mondo 2.400 gigawatt di nuova
potenza riunnovabile. E' il 30% in più di quello che era stato
previsto solo un anno fa, prima della guerra in Ucraina. Andare
verso le fonti pulite di energia, e non tornare indietro verso
gli idrocarburi, sarà la sfida ambientale più grande del 2023.
La seconda grande sfida è far partire finalmente i due grandi
fondi di aiuti per il clima previsti nell'ambito dell'Accordo di
Parigi. Il primo è quello deciso nel 2015 da 100 miliardi di
dollari all'anno, per sostenere i paesi poveri nella mitigazione
e nell'adattamento al cambiamento climatico. Uno strumento che
doveva nascere nel 2020, ma che non ha mai visto la luce, perché
i paesi ricchi non hanno mai tirato fuori tutti i soldi
necessari. A Sharm si è detto che potrebbe finalmente partire
alla Cop28 di Dubai, nel dicembre del 2023.
Il secondo fondo è quello per i ristori delle perdite umane e
dei danni materiali causati dagli eventi meteo estremi generati
dal riscaldamento globale (loss and damage). E' stato deciso
quest'anno a Sharm, e il progetto esecutivo deve essere
approvato alla Cop28. Ma anche qui, i paesi ricchi hanno
cominciato a sollevare obiezioni, e non sembrano molto
intenzionati a finanziarlo, preferendo strumenti di aiuti più
piccoli e controllabili.
La terza e ultima sfida ambientale del 2023 è cominciare a
realizzare l'impegno preso a dicembre dai paesi dell'Onu alla
Conferenza di Montreal sulla biodiversità, la Cop15: rendere
area protetta il 30% della terraferma e il 30% dei mari entro il
2030, il cosiddetto obiettivo 30x30. Al momento sono protette
solo il 17% delle terre e l'8% dei mari.
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