"Molti rifiutano il fatto ancora
che ci si debba spostare da Pescara all'Aquila per la logistica
degli uffici: L'Aquila avendo meno parlamentari non ha potuto
far valere fino in fondo i propri diritti e non è giusto che si
decidano le cose solo con la forza politica. A L'Aquila la
storia e la tradizione ha consegnato il ruolo di capoluogo. Ed i
problemi bisogna risolverli con il buonsenso e il dialogo. Ma
soprattutto con il richiamo allo sviluppo di entrambi i
territori, non deve mai prendere il sopravvento la legge del più
forte, della giungla".
A 50 anni dai moti dell'Aquila, l'arcivescovo metropolita,
Giuseppe Molinari, 82 anni, aquilano doc a capo della Curia
aquilana dal '98 al 2013, fa un bilancio delle ripercussioni in
Abruzzo dei moti dell'Aquila per la contesa con Pescara con il
capoluogo e con le sedi degli assessorati della Regione che
all'epoca della sommossa popolare sei era appena insediata.
"Se sono serviti? Non so dire, è stato evitato lo scippo
totale, c'è stata una reazione popolare molto forte che va al di
là della rivendicazione della Destra, anche il democristiano
Fabiani si è ritrovato solo contro i politici e gli
amministratori della costa, ha fatto quello che poteva fare" -
spiega ancora il prelato ricordando episodi che confermano il
suo pensiero. "Circa due anni dopo i moti del '71, frequentando
a Roma l'università del Laterano e l'accademia Alfonsiana,
incontrai un cardinale brasiliano che era stato nella nostra
città, che mi chiese di come andasse all'Aquila. Poi sui fatti
accaduti commentò: sette sedi di assessorato a Pescara, tre
all'Aquila con il capoluogo all'Aquila, 'tutto fumo e niente
arrosto'".
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