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Facciamo chiarezza sulla terapia anticoagulante e la chirurgia parodontale

A cura del dott. Raffaele Saviano, membro della Commissione ANSA SIdP

Redazione ANSA

Dai dati della Società italiana di Medicina Generale, nel 2018 in Italia i pazienti in trattamento con anticoagulanti orali (AO) erano oltre un milione, pari al 1.5-2% della popolazione generale. Gli anticoagulanti sono farmaci salvavita nel trattamento della prevenzione dell’infarto da tromboembolismo arterioso, il cui fattore di rischio maggiore è rappresentato dalla fibrillazione atriale, dal tromboembolismo venoso e dalle malattie valvolari cardiache.

Per oltre cinquant’anni la terapia anticoagulante orale utilizzata è stata quella con farmaci antagonisti dei fattori vitamina K-dipendenti (AVK, warfarin e acenocumarolo - Coumadin e Sintrom), farmaci difficili da gestire a causa della imprevedibilità dell’effetto anticoagulante dovuta a un’elevata variabilità dose-risposta, e alle molteplici interazioni farmacologiche, che richiede la necessità di un continuo monitoraggio ematico.

Negli ultimi anni, l’introduzione degli anticoagulanti orali diretti (DOAC, direct oral anticoagulants) ha dato un impulso importante alla semplificazione del trattamento che questi farmaci hanno avuto. Questa nuova categoria di farmaci agisce direttamente sui fattori della coagulazione, è più stabile, ha un ridotto numero d'interazioni farmacologiche che ne consente la somministrazione in dosi fisse giornaliere senza la necessità di controlli continui dell’effetto anticoagulante indotto dalla terapia.

Attualmente sono disponibili in Italia quattro farmaci, Pradaxa e Apixaban, ad azione specifica e selettiva inibente la trombina, Eliquis, Lixiana e Xarelto, farmaci ad azione specifica e selettiva inibente il Fattore Xa. Indipendentemente dalla tipologia di anticoagulanti orali utilizzati per i pazienti la gestione di queste terapie risulta sempre complicata, in quanto questi farmaci espongono al rischio di sanguinamento, che può presentarsi all’improvviso e a volte implica una gestione critica dell’evento.

A questo proposito l’American College of Cardiology ha redatto un algoritmo per la gestione dei sanguinamenti, siano essi maggiori o minori, causati dai vecchi e dai nuovi anticoagulanti che guida il medico attraverso la valutazione del grado di sanguinamento, le strategie di contenimento dell’emergenza, compresi il suggerimento di farmaci ‘antidoti’ specifici e la decisione del se e quando riprendere la terapia anticoagulante.

Dal punto di vista clinico la gestione del paziente in terapia con AO può rappresentare un momento delicato quando essi devono sottoporsi ad interventi odontoiatrici che comportano un rischio emorragico. Per le procedure odontoiatriche che comportano un rischio di sanguinamento, talvolta anche minimo, nel passato, la prassi era di sospendere la terapia anticoagulante, sostituire con eparina ed eseguire quindi l’intervento.

Tuttavia, il rischio tromboembolico, è spesso maggiore del reale rischio emorragico in caso di mantenimento della terapia ed ha potenziali conseguenze di gran lunga peggiori. In particolare con i DOAC gli eventi emorragici sono spesso di minore entità e facilmente gestibili, pertanto, la sospensione della terapia prima di un intervento odontoiatrico invasivo, con l’obiettivo di ridurre il potenziale rischio emorragico, non è indicata, specie nei pazienti con funzione renale normale e senza altri rischi che generino una ridotta emostasi, soprattutto se si utilizzano misure locali di controllo dell’emostasi.

In situazioni in cui le procedure di chirurgia orale coinvolgano sedi difficilmente raggiungibili per mettere in atto manovre di emostasi locale, come ad esempio interventi che coinvolgano il seno mascellare, è possibile in alcuni casi ridurre il rischio emorragico semplicemente assumendo il farmaco dopo la chirurgia o sospendendolo 24-48h prima. Fondamentale, in queste situazioni, è sempre un consulto specialistico.

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