(di Tommaso Romanin) (ANSA) - REGGIO EMILIA, 31 OTT - Dalla
finale di Berlino 2006 ad una condanna in un processo di
'Ndrangheta. Il tribunale di Reggio Emilia ha inflitto due anni
a Vincenzo Iaquinta, ex attaccante della Juventus e della
Nazionale campione del Mondo. E' rimasto coinvolto in una
vicenda di mancata custodia di armi, regolarmente detenute ma
lasciate in passato nella disponibilità del padre che non poteva
averle a causa di un provvedimento prefettizio. Il genitore,
Giuseppe, imprenditore calabrese trasferitosi nel Reggiano, è
stato condannato a 19 anni per associazione mafiosa. Nel 2015 fu
arrestato nella maxi-operazione 'Aemilia' e anche la casa di
Vincenzo, a Quattro Castella, venne perquisita dai carabinieri,
proprio per le armi. Anche per lui l'accusa era pesante e la
Procura aveva chiesto sei anni, contestandogli di aver
agevolato, con la sua condotta, la consorteria criminale di cui
fa parte il padre. L'aggravante è caduta in sentenza, ma la
condanna per l'ex calciatore resta, in primo grado, scritta
vicina a quelle di altri 118 imputati nel più grande processo di
criminalità organizzata mai celebrato in Emilia-Romagna.
"Vergogna, ridicoli", hanno urlato Vincenzo e il padre mentre i
giudici stavano ancora leggendo il dispositivo. Poi, usciti in
fretta dall'aula bunker, Iaquinta si è sfogato: "Il nome
'ndrangheta non sappiamo neanche cosa sia nella nostra famiglia.
Non è possibile. Andremo avanti. Mi hanno rovinato la vita sul
niente perché sono calabrese, perché sono di Cutro", ha detto,
ricordando il Mondiale vinto e dicendosi "orgoglioso di essere
calabrese. Noi - ha aggiunto - non abbiamo fatto niente perché
con la 'ndrangheta non c'entriamo niente. Sto soffrendo come un
cane per la mia famiglia e i miei bambini senza aver fatto
niente". Iaquinta è stato un attaccante forte fisicamente, ma
anche versatile. Una dote particolarmente apprezzata da Marcello
Lippi che ne fece uno dei punti di riferimento degli azzurri che
nel 2006 vinsero il campionato del mondo in Germania, dove
Iaquinta giocò cinque delle sette partite che portarono l'Italia
ad alzare la coppa, segnando un gol nella partita d'esordio con
il Ghana. Nella finale con la Francia entrò nel secondo tempo al
posto di Totti, ma non calciò i rigori. E' stato nominato
ufficiale, come tutti gli altri azzurri campioni del mondo, dal
presidente della Repubblica. In nazionale ha giocato 40 partite
e fatto sei gol, prendendo parte anche al mondiale in Sudafrica.
In serie A ha giocato soprattutto con le maglie dell'Udinese e
della Juventus. Il suo difensore, il professor Carlo Taormina,
aveva inizialmente citato come testimoni anche gli ex compagni
di squadra in bianconero Bonucci e Marchisio, per poi, però,
rinunciare a sentirli. 'Aemilia' non è solo Iaquinta. Ma è la
conferma giudiziaria, con un ulteriore sentenza che si aggiunge
alla pronuncia della Cassazione di qualche giorno fa, che la
'Ndrangheta in Emilia-Romagna era infiltrata. Il gruppo legato
alla cosca Grande Aracri era autonomo e organizzato e i giudici,
dopo una camera di consiglio di due settimane chiusi nella
questura reggiana, hanno inflitto, appunto, 118 condanne in
ordinario e altre 24 in abbreviato, per oltre 1.500 anni di
carcere totali. "Aemilia apre la pista ad altri processi, come è
avvenuto per i delitti degli anni Novanta, grazie alle
collaborazioni dei pentiti. Ma ci sono altri profili che
meritano investigazioni, le indagini non finiscono", ha detto il
procuratore capo di Bologna Giuseppe Amato, riferendosi anche
alla quarantina di sospette false testimonianze per le quali il
tribunale ha rinviato gli atti alla procura. (ANSA).
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