"Negli ultimi anni la Serbia ha speso il 3% circa del Pil per la difesa e potrebbe facilmente cercare di violare l'integrità territoriale del Kosovo, destabilizzando l'intera regione", ha spiegato Kurti, ammettendo di aspettarsi dei "negoziati difficili". Le trattative hanno visto in prima fila Germania, Francia e Stati Uniti, ma anche l'Italia, che ha il comando della missione Nato in Kosovo. "L'impegno dell'Italia nei Balcani occidentali è più che benvenuto" ha commentato Kurti, che su un piano bilaterale auspica una maggiore "cooperazione economica: più investimenti e più scambi commerciali". Il livello di ambizione è alto: "L'accordo - ha spiegato - dovrebbe essere caratterizzato da inclusione, efficacia, concretezza" e dovrebbe includere "impegni e scadenze precisi" soprattutto, dovrebbe esserci "più fiducia, perché il miglior accordo con il miglior allegato di attuazione, rimarrebbe lettera morta senza fiducia reciproca". Tra i nodi più controversi da sciogliere nel negoziato, c'è l'istituzione dell'associazione dei comuni serbi.
Un punto già concordato negli accordi di Bruxelles del 2013, che non è stato però mai attuato. Per Vucic l'introduzione di un regime speciale per la minoranza serba è una condizione di partenza del negoziato, Kurti invece spinge per riaprire il dossier, nonostante le insistenze di Ue e Usa perché Pristina rispetti gli obblighi presi. "Intendo ascoltare tutti gli appelli per i diritti dei serbi, ma l'etno-nazionalismo territoriale ha portato alla Republika Srpska (una delle due entità, a maggioranza serba, in Bosnia-Erzegovina), rendendo quel Paese disfunzionale" ha avvertito Kurti, che guarda piuttosto alla convenzione quadro del Consiglio d'Europa per la protezione delle minoranze come "una via sostenibile ed equa" per tutelare i diritti dei serbi in Kosovo.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA