Vecchie e nuove sfide infiammano il
dibattito in Estonia, dove domani si andrà a votare per eleggere
i 101 membri del Riigikogu, il Parlamento nazionale. A
contendersi la maggioranza della sede del potere legislativo
sono soprattutto i 5 partiti politici che attualmente dispongono
di seggi. Guidato dalla prima ministra uscente, Kaja Kallas, il
Partito della Riforma (Er) ha attualmente 34 seggi e spera di
replicare il risultato delle scorse elezioni. Kallas è salita al
governo nel gennaio 2021 in coalizione con il Partito di Centro
(Ek), guidato dal precedente primo ministro Juri Ratas, che
aveva assunto il potere dopo le elezioni del 2019 e si era
dovuto dimettere in seguito ad accuse di corruzione. Anche il
governo Er-Ek, però, non ha avuto una vita lunga: le micce della
crisi sono state la riforma degli assegni familiari e quella
dell'educazione primaria. Kallas è riuscita comunque a trovare i
numeri per continuare, stringendo un'alleanza di governo con il
Partito Socialdemocratico (Sde) di Lauri Läänemets, che aveva 10
seggi, e con Isamaa, il partito conservatore
cristiano-democratico guidato da Helir-Valdor Seeder che vantava
12 deputati. Ora la prima ministra uscente cerca la riconferma e
parte favorita nonostante la costante crescita dei prezzi e il
conseguente rincaro del costo della vita (con un tasso
d'inflazione al 18% al febbraio 2023). A tenere banco c'è anche
la guerra in Ucraina. Al possibile coinvolgimento nel conflitto
si somma anche la crisi migratoria: dal 19 settembre Estonia,
Lettonia, Lituania e Polonia hanno iniziato a respingere i russi
in possesso di un visto turistico rilasciato da uno degli Stati
Schengen dell'Ue. Nel Paese si è diffuso un sentimento
anti-russo che ha portato alcuni a chiedere una limitazione dei
diritti della minoranza russofona: i principali partiti politici
spingono per una nuova legge che preveda l'istruzione scolastica
esclusivamente in estone. Questo clima di tensione, a cui si
aggiunge la rimozione di tutti i monumenti dell'era sovietica,
starebbe spingendo molti russofoni a non partecipare al voto. Un
dato importante, se si considera che sono circa il 25% della
popolazione.
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