e7, il settimanale di QE - Nella valutazione del Governo sulle trivelle non va sottovalutata la forza, anche retroattiva, degli accordi industriali bilaterali internazionali tra i diversi Paesi. Sono questi che in sede di arbitrato possono pesare. Un fatto che ha già segnato delle vittorie per le aziende, ad esempio nel fotovoltaico. Ad oggi si tratta di una rete di accordi con oltre ottanta Stati in cui si prevede che la Repubblica italiana garantisca stabilità, trattamento giusto ed equo.
“Oltre a questi esiste anche la Carta dell’energia da cui l’Italia è uscita nel 2014, ma che in alcuni casi tutela anche retroattivamente gli investitori” come spiega Michele Sabatini di Arblit. A fare la differenza sono le tipologie di accordo e di contratto. Insomma, un altro fattore da valutare nel bilancio costi benefici che il “no” alle trivelle posto dal Governo può comportare sulla spesa pubblica.
Non sarebbe il primo caso. “A gennaio un tribunale arbitrale ha stabilito che l’Italia dovesse pagare investitori di fotovoltaico a causa di un taglio dei Conti energia. Mi riferisco al caso Greentech Energy Systems and Novenergia i cui i nostro Paese è stato condannato a pagare 11,9 milioni più le spese del procedimento e parte delle spese legali. Un precedente che si potrebbe ripetere nel caso delle trivelle”, sottolinea Sabatini.
Un consiglio da esperto che gli arbitrati li cura, soprattutto per le aziende, è di fare attenzione a come si formula il decadimento del benefit. “Soprattutto se si effettuano azioni retroattive, si rischia maggiormente di rientrare sotto la tutela di questi accordi, oppure cercare una negoziazione”, spiega il partner di Arblit, che aggiunge: “Alcuni Stati nascondono delle misure espropriative sotto forma di tassazione. Questa è esente dai trattati, l’importante è che non si agisca in modo discriminatorio o selettivo...”.
Nell’analisi generale si deve tenere conto anche dei costi ambientali e delle scelte fatte con il Piano energia clima. Gli accordi internazionali, però, non sono da sottovalutare e soprattutto non vanno ignorati come strumento di azione delle imprese.
Allo stato attuale sono nove i casi in cui investitori stranieri del fotovoltaico
hanno fatto ricorso al Trattato sulla Carta dell’energia. I primi due sono conclusi,
mentre i restanti sono ancora pendenti.
1. Blusun SA, Jean-Pierre Lecorcier and Nichael Stein v. Italy (ICSID Case No.
ABR/14/03): richiesta di 187,8 millioni – con decisione del 23 dicembre 2016
il tribunale ha rigettato le richieste di Blusun
2. Greentech Energy Systems and Novenergia. v. Italy (SCC Case No. 095/2015):
il Tribunale arbitrale ha condannato l’Italia a pagare € 11,9 milioni + spese
del procedimento e parte delle spese legali (circa 1,9 milioni)
3. Silver Ridge Power BV v. Italy (ICSID Case No. ARB/15/37)
4. Belenergia S.A. v. Italy (ICSID Case No. ARB/15/40)
5. Eskosol S.p.A. in liquidazione v. Italy (ICSID Case No. ARB/15/50)
6. ESPF Beteiligungs GmbH, ESPF Nr. 2 Austria Beteiligungs GmbH, and InfraClass
Energie 5 GmbH & Co. KG v. Italy (ICSID Case No. ARB/16/5 )
7. VC Holding II S.a.r.l. and others v. Italy (ICSID Case No. ARB/16/39)
8. CEF Energia BV vs. Italy (SCC Case No. 158/2015)
9. Sun Reserve Luxco Holdings SRL v. Italy (SCC Case No. 132/2016)