ROMA - La costruzione dei 67 impianti eolici off-shore progettati nei mari italiani sottrarrebbe una superficie di circa 13mila chilometri quadrati alle attività di pesca professionale, l'11,6% del totale, in particolare lo strascico, e maricoltura, con inevitabili ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, in relazione ai volumi del pescato e all'occupazione. E' quanto emerge dallo "Studio di ricognizione e approfondimento sullo sviluppo delle attività legate alle risorse energetiche alternative", realizzato dal Consorzio Mediterraneo, struttura di ricerca aderente a Legacoop Agroalimentare.
A subire effetti particolarmente pesanti, secondo lo studio, sono le marinerie attive nelle acque marittime della Puglia Centrale e meridionale, della Sardegna Meridionale e della Sicilia Sud-Occidentale. Relativamente all'impatto occupazionale, si stima una perdita di oltre 4mila addetti, senza tenere conto del ridimensionamento sull'indotto industriale e commerciale, concentrati soprattutto nella Sicilia Sud-Occidentale (oltre 2mila addetti in meno), in Puglia centrale e meridionale (mille), Sardegna meridionale (500); seguono Romagna (300), Lazio (200), Calabria e Sicilia Ionica (200). Dei 67 impianti proposti, 18 per la Sicilia, 18 per la Sardegna, 15 per la Puglia, 6 per la Calabria, 6 per il Lazio, 3 per l'Emilia Romagna. Tra l'altro, per molti si evidenziano aree di sovrapposizione, che sarebbe bene evitare avviando un'analisi sulle autorizzazioni già concesse o in via di rilascio.
Considerando che l'attuale superficie marittima utilizzabile per la pesca a strascico è di poco più di 112mila chilometri quadrati, il 32% della superficie complessiva delle acque italiane, la riduzione dei 13mila chilometri quadrati determinata dalla realizzazione degli impianti previsti, significherebbe sottrarre un ulteriore 11,6% della superficie dei mari di giurisdizione italiana utilizzabile per questo tipo di attività.
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