Il 14 giugno dell'anno scorso un peschereccio sovraccarico con a bordo circa 700 migranti si è ribaltato al largo di Pylos, a sud del Peloponneso. Solo 104 persone sono state salvate e 81 corpi sono stati recuperati. Decine di sopravvissuti hanno testimoniato che il barcone si è ribaltato a causa del tentativo della Guardia costiera greca di trainarlo con una corda verso le acque di soccorso di competenza italiana. Le autorità greche hanno invece sostenuto che il naufragio e è avvenuto quando la motovedetta della Guardia costiera si trovava distante, perché il peschereccio era sovraccarico.
"Esprimiamo forte incredulità in relazione al modo in cui sono state valutate tutte le prove incluse nel fascicolo dell'accusa: per noi è chiaro che i nove superstiti del naufragio sono utilizzati come il capro espiatorio per coprire le responsabilità greche". Lo ha spiegato all'Ansa l'avvocata Efi Doussi, a proposito dell'apertura del processo. Se ritenuti colpevoli, gli imputati verrebbero condannati all'ergastolo.
Secondo il team legale che assiste i nove superstiti, gli egiziani sono stati accusati senza prove sufficienti: le accuse si basano sulla deposizione di altri nove sopravvissuti al naufragio. Alcuni di loro hanno denunciato alla Bbc di essere stati costretti dalla Guardia costiera a accusare gli altri compagni di viaggio.
Il team legale sottolinea che i testimoni sono stati interrogati nelle ore successive alla tragedia, quando erano in stato di shock, in alcuni casi senza garantire la presenza di un interprete che parlasse la loro lingua. Inoltre, stando al team legale i nove interrogati non hanno identificato nessuno degli accusati come il capitano né hanno confermato che abbiano ricevuto denaro per organizzare la traversata, ma i superstiti hanno indicato i nove egiziani come coloro che hanno distribuito dell'acqua a bordo o riparato il motore. (ANSAmed).
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