La Corte europea dei diritti
umani ha dichiarato inammissibile il ricorso di 12 cittadini che
vivono accanto al Vesuvio, che lamentano l'inadeguatezza del
piano di emergenza e la mancanza di informazioni sullo stesso. I
giudici non sonno entrati nel merito, rilevando che non sono
stati tentati tutti i possibili rimedi a livello nazionale.
Con una decisione finale la Corte europea dei diritti umani
ha rigettato il ricorso presentato da dodici cittadini che
vivono tutti nella zona più a rischio se il Vesuvio dovesse
"risvegliarsi".
Nel ricorso, i 12 sostenevano che il governo non sta
proteggendo le loro vite come è suo dovere perché il pano
emergenza messo in atto non è adeguato e la cittadinanza non
viene regolarmente informata sui rischi e i comportamenti che
deve tenere in caso d'eruzione o di terremoto.
Nel decidere di rigettare il ricorso, la Corte di Strasburgo
non ha valutato se le "accuse" dei ricorrenti siano fondate o
meno. I giudici hanno invece stabilito che i ricorrenti non
hanno ottemperato a uno dei criteri per ricorrere a Strasburgo -
quello di aver esaurito tutte le possibili vie per ottenere
giustizia a livello nazionale.
I giudici hanno cosi accolto la tesi del governo italiano
secondo cui i cittadini, dovevano, prima di fare ricorso a
Strasburgo, portare il loro caso davanti ai tribunali nazionali.
La Corte afferma che in base alle informazioni fornite dal
governo i ricorrenti e tutti gli altri cittadini hanno almeno
due strade da percorrere per ottenere la messa in atto delle
misure che ritengono necessarie per ridurre al minimo i rischi
derivanti da un'eruzione del Vesuvio o da un terremoto. La prima
è di domandarle direttamente alle autorità competenti, e in caso
di non risposta di queste, rivolgersi al Tar o al Consiglio di
Stato. L'altra via è quella della class action. La Corte rigetta
cosi la tesi dei ricorrenti secondo cui queste due soluzioni
sono in effetti difficilissime o impossibili da adottare.
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