(ANSA) - MILANO, 2 APR - Il comparto ortofrutticolo è un
motore non solo del settore agroalimentare, ma dell'intero
Paese, con oltre 490mila aziende, più di un milione di ettari
coltivati e 12,8 miliardi di euro di valore di produzione.
Eppure rischia di essere una miniera di opportunità sprecate,
soprattutto guardando all'export, per via dei costi di
produzione sopra la media Ue, della burocrazia e di norme non
uniformi a livello europeo sull'impiego dei fitosanitari. Lo
spiega all'ANSA Ambrogio De Ponti, presidente dell'Unione
produttori ortofrutta (Unaproa), rispondendo a una domanda degli
studenti del liceo romano 'Via di Ripetta'.
In Europa l'Italia si colloca al primo posto per il valore della
produzione sia di frutta che di verdura, "è importante sia dal
punto di vista quantitativo sia, in assoluto, per la qualità e
la grande varietà, in cui è unica al mondo", rileva De Ponti.
Eppure produrre frutta e verdura nel Belpaese costa il 10% in
più rispetto ad altri Paesi Ue, per via del "costo del lavoro e
del costo del trasporto, i più alti in Europa".
Accanto a questo, "In Italia c'è una burocrazia asfissiante,
che è il vero freno allo sviluppo nazionale e internazionale",
sottolinea De Ponti. "Non si possono perdere 150 giornate
all'anno per essere controllati da soggetti diversi sulle stesse
cose. Sui controlli siamo il Paese più rigido del mondo e nella
sicurezza alimentare siamo leader. I controlli sono i benvenuti,
sia chiaro, ma in Italia spesso sono ripetitivi, non coordinati
e richiedenti documentazione già in possesso alla Pubblica
Amministrazione".
Un ulteriore freno competitivo all'export si trova nella difesa
fitosanitaria, cioè nei "prodotti agrochimici, rigidamente
controllati e sicuri, usati per difendere le piante dai
parassiti". Attualmente, spiega De Ponti, "nonostante il mercato
dei prodotti ortofrutticoli per l'Unione europea sia unico, sia
a livello comunitario che a livello nazionale vi è una forte
differenziazione delle prescrizioni contenute nei disciplinari",
spiega il presidente di Unaproa. "La mancata uniformità di
normative e procedure conduce a trattamenti differenti tra
operatori di Paesi e regioni diversi, incidendo notevolmente sui
costi di produzione. Com'è evidente, questo ha un impatto
drammatico sulla competitività di impresa, a tutto discapito dei
produttori italiani e dei consumatori".
Lo svantaggio competitivo è sia nei confronti dei Paesi extra
Ue, da cui importiamo prodotti coltivati con regole più blande
sulla sicurezza alimentare, sia all'interno dell'Unione. De
Ponti fa un esempio: la Spagna può usare un prodotto per la
conservazione delle pere, da noi vietato, che consente di
mantenerle per il doppio del tempo, e quindi di esportarle anche
in mercati più lontani. "Se le regole servono per tutelare la
salute dei consumatori - conclude - non si capisce perché non
possano essere realmente uguali per tutti". (ANSA).
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