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La campagna antimigranti di Tunisi colpisce i cittadini neri

Occorre comprendere storia e dinamica abolizione schiavitù

22 marzo 2023, 16:54

Redazione ANSA

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© ANSA/EPA

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TUNISI - Le dichiarazioni del 21 febbraio scorso del presidente tunisino Kais Saied che ha invocato "misure urgenti" contro l'immigrazione illegale di africani sub-sahariani nel suo Paese, hanno avuto tra le altre conseguenze anche quella di riportare all'attenzione un tema tabù della società tunisina: quello del razzismo contro i tunisini neri. Stimati tra il 10 e il 15% di una popolazione totale di quasi 12 milioni, i tunisini neri, per lo più discendenti di schiavi, sono concentrati nel sud del Paese. E "anche se la loro condizione sociale è eterogenea, la maggioranza vive in regioni svantaggiate e appartiene agli strati più poveri", ha scritto nell'agosto 2018 la ricercatrice Maha Abdelhamid per l'istituto EuroMesco. "Benché non tutti i tunisini neri discendano dagli schiavi, non è possibile comprendere la loro storia senza capire la dinamica della schiavitù e della tratta trans-sahariana", scrive la ricercatrice della Ca' Foscari, Marta Scaglioni, autrice di "I wish I did not understand arabic! Living as a black migrant in contemporary Tunisia", nella traduzione dell'articolo "Emancipazione e musica: il post-schiavitù dei neri tunisini", pubblicato da Open Democracy. "L'importazione di schiavi nei territori dell'attuale Tunisia dal Sudan, "la terra degli uomini neri" raggiunse il suo apice con l'Impero Ottomano", prosegue Scaglioni". Gli schiavi erano soprattutto impiegati nei lavori agricoli o come domestici. Questi schiavi furono formalmente affrancati nel 1846 quando, fatto unico per il Maghreb e per il mondo musulmano, l'allora sovrano Ahmed Bey (1837-1855) abolì la schiavitù e la tratta degli schiavi, anticipando l'Occidente coloniale, come misura preventiva per evitare una probabile (e infine ineluttabile) colonizzazione europea". "Per difendersi dall'Occidente - scrive ancora Scaglioni - a Ahmed Bey non restò che prendere in prestito dallo stesso Occidente i valori liberali e umanitari di cui le potenze europee si facevano portabandiera.

Dopo l'abolizione della schiavitù, le differenze tra i percorsi degli schiavi affrancati nel nord e nel sud del Paese furono considerevoli". "Nella Tunisia urbanizzata della costa settentrionale molti schiavi si trovarono in situazioni di privazione e impoverimento, poiché molte famiglie della classe medie rifiutarono di assumerli come servi, e si trovarono costretti a diventare venditori ambulanti o ad arrangiarsi tra vagabondaggio e prostituzione. L'emancipazione per loro fu una questione puramente formale, senza alcun cambiamento in termini socio-economici. Nel sud rurale, al contrario, gli schiavi affrancati rimasero con le famiglie degli ex padroni come ousfane, domestici. Di conseguenza, la schiavitù nel sud subì una lenta metamorfosi verso un'altra istituzione islamica, la walà, ossia una relazione clientelare all'interno della quale gli schiavi affrancati adottarono il nome dei loro ex padroni, spesso aggiungendo 'abid o shwuashin (termine più politicamente corretto per indicare gli schiavi affrancati) come segno di riconoscimento.

Dopo l'indipendenza nel 1956, la politica di costruzione della nazione di Habib Bourguiba (presidente dal 1957 al 1987) ha insistito molto sul senso di appartenenza di tutti i tunisini a un passato comune, così come sull'omogeneità religiosa, etnica e politica". "Nonostante ciò, la dolorosa realtà della segregazione sociale su basi etniche è proseguita, tanto che molti tunisini utilizzano ancora le parole wassif (servo) e 'abid (schiavo) per riferirsi ai neri", si legge.

"Dopo il discorso di Saied, ho notato che anche i tunisini neri hanno avuto paura", dice Saadia Mosbah, presidentessa dell'associazione antirazzista Mnemty, riferendosi a "cinque o sei attacchi contro tunisini neri". Oltre a una tempesta di odio online, Mosbah, ex assistente di volo, 63 anni, la cui lotta ha portato a una legge antidiscriminazione nel 2018, è stata anche oggetto di attacchi sulla pubblica via. La sua reazione è stata la solidarietà con i migranti sub-sahariani, un gran numero dei quali (su oltre 21.000 iscritti ufficialmente) si è trovato senza lavoro e senza casa, e portando beni di prima necessità ai più poveri.

Secondo l'attivista, il razzismo "più o meno nascosto" in Tunisia "è improvvisamente venuto a galla quando invece ho sempre detto che lo Stato tunisino non era né razzista né segregazionista". Il discorso di Saied è stato "come un via libera del potere politico ai razzisti", ha aggiunto, sorpresa di riconoscere tra loro "persone dell'élite intellettuale, persone illuminate".

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